LE DIETE POSSONO FAR DISPREZZARE IL CIBO
"L’unico momento giusto per mangiare cibo dietetico è mentre aspetti che si cuocia la bistecca"
(Julia Child)
Molte ragazze sono cresciute praticamente davanti allo specchio: provandosi e riprovandosi abiti, make up, cantando dentro le spazzole usate come microfono, cercando nuove acconciature, sperimentando accostamenti, colori e lunghezze. Questo è un modo abbastanza normale di crescere, prendendo confidenza con la propria immagine e con i cambiamenti che inevitabilmente l’adolescenza porta con sé. Ma secondo uno studio pubblicato nel marzo 2009 dal magazine americano “Glamour” e confermato da uno più recente condotto in Australia, la maggior parte delle ragazze di oggi (quasi tutte, anzi, i due sondaggi hanno risultati spaventosamente identici: 96 per cento nel primo caso e 97 per cento nel secondo), non si piace, vorrebbe cambiare qualcosa del proprio corpo o vorrebbe avere il corpo di qualcun altro. Non solo questa statistica rivela un concreto pericolo per la salute mentale e fisica di queste ragazze, dal momento che la maggioranza di loro pensa di non essere bella e crede che perdere peso sia la soluzione per essere più attraenti, ma la cosa più agghiacciante è che i risultati mostrano che almeno il 54 per cento delle ragazze di età compresa tra 13 e 20 anni salta i pasti nel tentativo di dimagrire o per lo meno di sentirsi meglio, meno in colpa, più vicino alla possibilità di essere bella. Ovviamente il desiderio di magrezza si ripercuote nel rapporto che le donne hanno con il cibo e, da atto naturale e istintivo, quello di nutrirsi diventa un momento conflittuale, confuso, carico di ansie, timori e paure. Nella lotta ai chili di troppo, il cibo diventa il nemico concreto e tangibile. Trascorrere la giornata davanti alla bilancia contando calorie, pesando gli alimenti, sfiancandosi di esercizi in palestra, cucinando per gli altri e pensando al cibo che non si dovrebbe mangiare, oppure rimproverandosi per quello che si è mangiato, e vederselo immediatamente spalmato sulle cosce sotto forma di cellulite e cuscinetti: questa è la routine di molte donne.
Liberarsi dalle ossessioni legate al cibo, ai chili di troppo e alla dieta può sembrare impossibile, ma bisogna considerare che il rapporto sbagliato con il cibo è un riflesso di altri problemi che dovremmo affrontare. Il cibo in sé non è il problema, non è la causa dei nostri mali (e non è nemmeno la nostra felicità). Le donne che si lasciano ossessionare dalle diete, e quindi dal cibo, spesso lo fanno per cercare una distrazione rispetto ai problemi reali che la vita ci propone. Il cibo è una vera e propria ossessione per molte, al punto che una ricerca condotta dalla Atkins (toh? Proprio quella della dieta) riporta che le donne pensano più al cibo che al sesso. Insomma, sembra che molte donne investano maggiori energie e sforzi nel seguire la loro dieta che nel coltivare le le loro relazioni. Secondo i risultati della ricerca, una donna su dieci si sentirebbe addirittura più colpevole nello sgarrare la dieta che nel tradire il proprio partner. Atkins ha intervistato 1.290 donne in tutto il Regno Unito per capire il loro atteggiamento verso la dieta e come esso influenzi le relazioni: una donna su quattro ha ammesso di pensare che la dieta fosse più importante del proprio rapporto di coppia, più di un terzo delle intervistate (37,5 per cento) ha confessato di pensare più al cibo che al proprio partner, e più della metà (54 per cento) pensa più frequentemente al cibo che al sesso. Quanto alle ragioni più comuni che portano le donne a cominciare una dieta, al primo posto vi è quella di cercare di ottenere un corpo perfetto da sfoggiare in spiaggia, mentre una intervistata su sette ha dichiarato di essere stata convinta dai commenti crudeli ricevuti a causa del proprio peso. Bisogna ammettere che i risultati di questa indagine sono quanto mai bizzarri (come è possibile tenere traccia dei pensieri? Non vorrei proprio arrivare a dire – e nemmeno a ipotizzare – che le donne investono molte delle loro energie nel cercare di non ingrassare, controllare calorie e grassi ingeriti e preoccuparsi dei loro chili più di quanto facciano nelle loro relazioni), ma un po’ di verità senza dubbio c’è.
Il rapporto donne e cibo
Cibo e donne è un binomio indissolubile che ci accompagna dall’infanzia, da un’idea di donna nutritrice, fino ai dissidi interiori delle donne nel loro rapporto spesso conflittuale con il cibo. Una conflittualità che però non è insita di default nell’indole femminile: dalla mela di Eva al latte materno e fino all’arte di sedurre con il cibo, la donna è sempre stata nutrice e nutritizia, e da sempre ha avuto un legame inscindibile con gli alimenti e il loro consumo. Questo prima dell’avvento della società dell’opulenza, dove le donne sono contemporaneamente sottoposte a un’offerta sterminata di cibo (“Mangia! Mangia!”) e a immagini di corpi magri e perfetti (“Dimagrisci! Dimagrisci!”). Il cibo allora non è più atto relazionale, affettivo, materno e femminile, resta solo un insieme di calorie e grassi ingeriti, da contare, eliminare, tenere sotto controllo. Da alleato, diventa nemico. Come può il cibo trasformare una donna in un mostro ossessionato e ossessivo? Viviamo in un’epoca in cui esiste un rapporto altamente schizofrenico e deviante tra quello che ci viene sottoposto e quello che ci è consentito mangiare. Da un lato ricette, blog, programmi televisivi di cucina, pubblicità ci perseguitano con provocazioni culinarie di tutti i tipi, dall’altro quegli stessi media ci propongono modelli estetici di riferimento assolutamente irraggiungibili. Magro è bello, questo ci viene continuamente ricordato e qualsiasi cosa per raggiungere questo ideale è permesso. Come uscirne indenni e in equilibrio?
Il paradosso dei food show
Siamo nell’epoca del food show: a qualsiasi ora del giorno e della notte è possibile gustare uno dei tantissimi programmi televisivi che hanno come protagonista la cucina. Chef che si sfidano, chef che si improvvisano, chef che si raccontano. Persone comuni dietro ai fornelli, a fare torte, conserve, gare di abilità. È tutto un mangia mangia generale.
E noi ne siamo ipnotizzati perché istintivamente siamo attratti dal cibo e cucinare ha in sé una componente narrativa: ogni piatto è una storia, con un inizio, uno svolgimento e una fine. Inoltre siamo attirati dalla sapienza pratica con cui chi sa cucinare riesce a modificare gli elementi e a trasformarli. Ma lo spettacolo della maestria in cucina in tv non fa venir voglia di cucinare: fa venir voglia di mangiare!
Erroneamente molti credono che i programmi televisivi a base di chef, scuole di cucina e ricette abbiano un ruolo culturale e formativo nell’insegnare e divulgare passione e piacere per la gastronomia e la nobile arte della cucina. Evidentemente così non è, i dati parlano chiaro e ci son le premesse perfette per la nascita di un nuovo paradosso: parallelamente all’aumento del numero di programmi televisivi che mostrano persone ai fornelli, diminuisce il tempo che passiamo a cucinare, aumentano i problemi legati all’obesità e, di conseguenza, il ricorso alle diete.
Abbiamo rinunciato a cucinare per mancanza di tempo, voglia e anche perché c’è qualcuno che lo fa per noi: le aziende di prodotti preparati, i ristoranti spuntati in ogni dove, i take-away aperti 24 ore su 24, il banco rosticceria del supermercato, i food shop a ogni angolo della strada. Secondo una ricerca condotta da Coldiretti nel 2010, in Italia si sta verificando una progressiva riduzione del tempo trascorso in cucina per cui, alla preparazione dei pasti, si dedicano appena 35 minuti per il pranzo e 33 minuti per la cena.
Le donne non hanno più tempo, questa è la giustificazione banale e superficiale che ci raccontiamo. In realtà si tratta di una scusa, spesso per nascondere la paura di cucinare e di rapportarci alla cucina delle nostre mamme, delle nostre nonne o degli chef che vediamo in TV. E in generale paura di rapportarci con il cibo, visto sempre più con una componente sacrale, protagonista di programmi televisivi, che richiede rispetto e timore reverenziale.
Quanto agli spettacoli in TV, be’, il cibo quotidiano è tutt’altra cosa da quello spettacolarizzato e tv friendly dei programmi gastronomici: corse contro il tempo, ingredienti improbabili, cotture fantomatiche (che durano il tempo di una pubblicità) e semilavorati spacciati per cucina (decorare una cupcake non è cucinare).
Abbiamo rinunciato a cucinare anche perché negli ultimi anni ci stanno ripetendo che qualcuno può farlo al nostro posto, o meglio di noi. E demandiamo ad altri: all’industria di cibi preparati, piatti e sughi pronti, e surgelati che ogni anno cresce di valore.
Abbiamo rinunciato a cucinare e preferiamo guardare farlo: i programmi televisivi di cucina durano in media molto di più del tempo che passiamo quotidianamente ai fornelli.
Se spegnessimo la TV, e fossimo noi i protagonisti attivi di uno spettacolo gastronomico, senza giudici, né ricette, senza arbitri, né cronometri, prendendoci la libertà anche di sbagliare, scegliendo le nostre materie prime, amandole e trasformandole, il nostro punto di arrivo sarebbe un cambiamento del nostro comportamento alimentare, del nostro rapporto con il cibo e della nostra salute.
È stata infatti individuata una relazione tra il minor tempo dedicato alla cucina e i casi di obesità, specie in coloro che, non cucinando, preferiscono nutrirsi con cibi pronti, al fast food, o utilizzare semilavorati, perdendo completamento il rapporto e il contatto con il cibo.
È facile mangiare, se ti ricordi come farlo
Nelle diete dimagranti, in quelle restrittive, il conteggio delle calorie, l’assunzione di integratori a base di erbe e i programmi alimentari si concentrano sul cibo come se il cibo fosse il problema. Ma il cibo non è mai il problema: il nostro corpo sa quando e quanto mangiare, non serve che ce lo dica qualcun altro. Nella corsa alla ricerca di qualcosa di alternativo alle diete (che, come stiamo dicendo, sono da evitare), c’è chi pensa che dovremmo ristabilire un rapporto autentico con il cibo, perché il nostro rapporto con esso è stato falsato negli anni dal benessere, da interessi commerciali e dallo stile delle nostre vite: il cibo è una moda, un passatempo, un prodotto da comprare. Ormai mangiamo non solo o non più per fame, ma per noia o per socializzare, per piacere e per scoprire.
Chiamato anche “non dieta” e nato alla fine degli anni Settanta, l’Intuitive Eating è una filosofia nutrizionale in base alla quale mangiare secondo i segnali della fame naturale del corpo è il modo migliore per raggiungere un peso sano, piuttosto che seguire una dieta o un regime alimentare che contempli il conteggio innaturale di calorie. È, in pratica, un approccio che insegna come creare una sana relazione tra cibo, corpo e mente, e che ci porta a diventare realmente esperte del nostro corpo e dei nostri bisogni. Imparare a distinguere tra bisogni fisiologici e psicologici, ad esempio, e a raggiungere soddisfazione. È anche un processo che innesca una pace con il cibo, per smettere di vivere in continua preoccupazione con esso. Ciò che promette l’Intuitive Eating è di imparare ad ascoltare e interpretare le richieste del proprio corpo: essendo nati con tutta la saggezza necessaria per nutrirci e per farlo in modo intuitivo seguendo le nostre esigenze interiori e non come reazione agli stimoli esterni, alle regole o alle consuetudini.
Premessa fondamentale dell’Intuitive Eating è quella di fidarsi del proprio corpo: esso è un meccanismo perfetto, geneticamente in grado di stabilire anche il necessario nutrimento per svolgere le attività giornaliere. La sensazione di fame è un segnale che il nostro corpo ci invia per richiedere apporto nutritivo (come quella di stanchezza che ci impone riposo, per esempio), controbilanciata dalla sensazione di sazietà, che ci segnala il limite.
Occorre quindi cominciare ad ascoltare meglio e di più il nostro corpo, fidandosi di esso, imparando a riconoscere le sensazioni di fame e sazietà e collegando il consumo di cibo a queste sensazioni. Quel che sembra un concetto così facile, mangia quando hai fame e smetti quando sei sazio, non lo è affatto, soprattutto per chi ha impostato la propria vita alimentare su anni di diete in cui la quantità di cibo da ingerire non era regolata dal metabolismo ma da tabelle alimentari, calcoli di calorie o altro. Oppure per chi assume cibo in conseguenza di stimoli emozionali e non fisici: gli stimoli visivi della pubblicità, dell’abbondanza di cibo per strada, nei supermercati, nei ristoranti, o chi mangia per consolarsi, o per sfogarsi.
Occorre ritrovare l’intuito innato e originale per approcciarsi al cibo in modo più naturale. Intuito che è stato offuscato e contaminato da un lato dal bombardamento mediatico di falsi miti alimentari e diete, e dall’altro dall’istigazione commerciale a farci mangiare: è possibile mangiare a ogni ora del giorno e della notte, il cibo è ovunque.
I principi fondamentali dell’Intuitive Eating sono i seguenti: rigettare la mentalità della dieta buttando libri e riviste che offrono false aspettative di dimagrimento veloce, indolore e permanente, e arrabbiandosi per le bugie che hanno sempre detto; rispettare la fame nutrendo il corpo con un adeguato apporto di energia e carboidrati e soddisfacendo la sensazione di appetito; far pace con il cibo dandosi la possibilità incondizionata di mangiare ciò che si vuole; sfidare le regole del cibo: calorie, grammi, porzioni sono tutte regole che nulla hanno a che far con il nostro intuito; rispettare il senso di sazietà ascoltando il corpo che sa dirci quando abbiamo ingerito il nutrimento necessario; trovare soddisfazione nel cibo: il cibo sa dare piacere, quando si mangia ciò che si desidera soddisfacendo una propria voglia o imbattendosi in un cibo favoloso, il piacere che ne deriva è una forza potentissima che aiuta a sentirsi soddisfatti e contenti; rispettare i sentimenti, senza usare il cibo per confortare ansie, tristezze, solitudini, noie e de lusioni. Il cibo non risolve i problemi, può consolare nell’immediato, ma non è la soluzione; rispettare il corpo, accettare il proprio codice genetico, la propria corporatura ed essere realistici sulla propria conformazione fisica: così come un piede misura 40 non potrà mai diventare un 38, la stessa cosa vale per le taglie e le forme del corpo. E infine: esercitarsi per star bene. Il movimento fisico non deve essere sfiancante e deve essere focalizzato sul come ci si sente e non sul numero di calorie bruciate. Rispettare la salute: effettuare scelte alimentari che la onorino, evitando i cibi spazzatura.
Mangiare sulla base dei segnali della fame naturale del corpo è il modo migliore per raggiungere un peso sano, il peso naturale che geneticamente ci appartiene, piuttosto che controllare la quantità di energia e grassi negli alimenti. Se si è scollegati dal proprio intimo stimolo di fame/sazietà, sarà più facile essere bersaglio di stimoli esterni per mangiare: emozioni, orari, opportunità, regole, consuetudini, diete.
Spostare poi l’attenzione dal peso alla salute, senza per forza incaponirsi con tabelle, indici o taglie e soprattutto, come dicono gli esperti, considerare che le conseguenze (sul fisico e sulla psiche) di una vita in balia dell’effetto yo-yo siano ben peggiori di qualche consapevole chilo di troppo, portato con orgoglio, consapevolezza e intelligenza.
Non bisogna rinunciare al cibo per essere belle, basta mangiare in modo sano e intelligente, senza privarsi, soprattutto, dei piaceri e della socializzazione insiti nell’atto di mangiare, per non vivere in perenne frustrazione.
Di Martina Liverani, estratti "10 Ottimi Motivi Per Non Cominciare Una Dieta", Laurana Editore, Milano, 2012, pp.31-35. Compilati, digitati e adattati per essere postato per Leopoldo Costa.
(Julia Child)
Molte ragazze sono cresciute praticamente davanti allo specchio: provandosi e riprovandosi abiti, make up, cantando dentro le spazzole usate come microfono, cercando nuove acconciature, sperimentando accostamenti, colori e lunghezze. Questo è un modo abbastanza normale di crescere, prendendo confidenza con la propria immagine e con i cambiamenti che inevitabilmente l’adolescenza porta con sé. Ma secondo uno studio pubblicato nel marzo 2009 dal magazine americano “Glamour” e confermato da uno più recente condotto in Australia, la maggior parte delle ragazze di oggi (quasi tutte, anzi, i due sondaggi hanno risultati spaventosamente identici: 96 per cento nel primo caso e 97 per cento nel secondo), non si piace, vorrebbe cambiare qualcosa del proprio corpo o vorrebbe avere il corpo di qualcun altro. Non solo questa statistica rivela un concreto pericolo per la salute mentale e fisica di queste ragazze, dal momento che la maggioranza di loro pensa di non essere bella e crede che perdere peso sia la soluzione per essere più attraenti, ma la cosa più agghiacciante è che i risultati mostrano che almeno il 54 per cento delle ragazze di età compresa tra 13 e 20 anni salta i pasti nel tentativo di dimagrire o per lo meno di sentirsi meglio, meno in colpa, più vicino alla possibilità di essere bella. Ovviamente il desiderio di magrezza si ripercuote nel rapporto che le donne hanno con il cibo e, da atto naturale e istintivo, quello di nutrirsi diventa un momento conflittuale, confuso, carico di ansie, timori e paure. Nella lotta ai chili di troppo, il cibo diventa il nemico concreto e tangibile. Trascorrere la giornata davanti alla bilancia contando calorie, pesando gli alimenti, sfiancandosi di esercizi in palestra, cucinando per gli altri e pensando al cibo che non si dovrebbe mangiare, oppure rimproverandosi per quello che si è mangiato, e vederselo immediatamente spalmato sulle cosce sotto forma di cellulite e cuscinetti: questa è la routine di molte donne.
Liberarsi dalle ossessioni legate al cibo, ai chili di troppo e alla dieta può sembrare impossibile, ma bisogna considerare che il rapporto sbagliato con il cibo è un riflesso di altri problemi che dovremmo affrontare. Il cibo in sé non è il problema, non è la causa dei nostri mali (e non è nemmeno la nostra felicità). Le donne che si lasciano ossessionare dalle diete, e quindi dal cibo, spesso lo fanno per cercare una distrazione rispetto ai problemi reali che la vita ci propone. Il cibo è una vera e propria ossessione per molte, al punto che una ricerca condotta dalla Atkins (toh? Proprio quella della dieta) riporta che le donne pensano più al cibo che al sesso. Insomma, sembra che molte donne investano maggiori energie e sforzi nel seguire la loro dieta che nel coltivare le le loro relazioni. Secondo i risultati della ricerca, una donna su dieci si sentirebbe addirittura più colpevole nello sgarrare la dieta che nel tradire il proprio partner. Atkins ha intervistato 1.290 donne in tutto il Regno Unito per capire il loro atteggiamento verso la dieta e come esso influenzi le relazioni: una donna su quattro ha ammesso di pensare che la dieta fosse più importante del proprio rapporto di coppia, più di un terzo delle intervistate (37,5 per cento) ha confessato di pensare più al cibo che al proprio partner, e più della metà (54 per cento) pensa più frequentemente al cibo che al sesso. Quanto alle ragioni più comuni che portano le donne a cominciare una dieta, al primo posto vi è quella di cercare di ottenere un corpo perfetto da sfoggiare in spiaggia, mentre una intervistata su sette ha dichiarato di essere stata convinta dai commenti crudeli ricevuti a causa del proprio peso. Bisogna ammettere che i risultati di questa indagine sono quanto mai bizzarri (come è possibile tenere traccia dei pensieri? Non vorrei proprio arrivare a dire – e nemmeno a ipotizzare – che le donne investono molte delle loro energie nel cercare di non ingrassare, controllare calorie e grassi ingeriti e preoccuparsi dei loro chili più di quanto facciano nelle loro relazioni), ma un po’ di verità senza dubbio c’è.
Il rapporto donne e cibo
Cibo e donne è un binomio indissolubile che ci accompagna dall’infanzia, da un’idea di donna nutritrice, fino ai dissidi interiori delle donne nel loro rapporto spesso conflittuale con il cibo. Una conflittualità che però non è insita di default nell’indole femminile: dalla mela di Eva al latte materno e fino all’arte di sedurre con il cibo, la donna è sempre stata nutrice e nutritizia, e da sempre ha avuto un legame inscindibile con gli alimenti e il loro consumo. Questo prima dell’avvento della società dell’opulenza, dove le donne sono contemporaneamente sottoposte a un’offerta sterminata di cibo (“Mangia! Mangia!”) e a immagini di corpi magri e perfetti (“Dimagrisci! Dimagrisci!”). Il cibo allora non è più atto relazionale, affettivo, materno e femminile, resta solo un insieme di calorie e grassi ingeriti, da contare, eliminare, tenere sotto controllo. Da alleato, diventa nemico. Come può il cibo trasformare una donna in un mostro ossessionato e ossessivo? Viviamo in un’epoca in cui esiste un rapporto altamente schizofrenico e deviante tra quello che ci viene sottoposto e quello che ci è consentito mangiare. Da un lato ricette, blog, programmi televisivi di cucina, pubblicità ci perseguitano con provocazioni culinarie di tutti i tipi, dall’altro quegli stessi media ci propongono modelli estetici di riferimento assolutamente irraggiungibili. Magro è bello, questo ci viene continuamente ricordato e qualsiasi cosa per raggiungere questo ideale è permesso. Come uscirne indenni e in equilibrio?
Il paradosso dei food show
Siamo nell’epoca del food show: a qualsiasi ora del giorno e della notte è possibile gustare uno dei tantissimi programmi televisivi che hanno come protagonista la cucina. Chef che si sfidano, chef che si improvvisano, chef che si raccontano. Persone comuni dietro ai fornelli, a fare torte, conserve, gare di abilità. È tutto un mangia mangia generale.
E noi ne siamo ipnotizzati perché istintivamente siamo attratti dal cibo e cucinare ha in sé una componente narrativa: ogni piatto è una storia, con un inizio, uno svolgimento e una fine. Inoltre siamo attirati dalla sapienza pratica con cui chi sa cucinare riesce a modificare gli elementi e a trasformarli. Ma lo spettacolo della maestria in cucina in tv non fa venir voglia di cucinare: fa venir voglia di mangiare!
Erroneamente molti credono che i programmi televisivi a base di chef, scuole di cucina e ricette abbiano un ruolo culturale e formativo nell’insegnare e divulgare passione e piacere per la gastronomia e la nobile arte della cucina. Evidentemente così non è, i dati parlano chiaro e ci son le premesse perfette per la nascita di un nuovo paradosso: parallelamente all’aumento del numero di programmi televisivi che mostrano persone ai fornelli, diminuisce il tempo che passiamo a cucinare, aumentano i problemi legati all’obesità e, di conseguenza, il ricorso alle diete.
Abbiamo rinunciato a cucinare per mancanza di tempo, voglia e anche perché c’è qualcuno che lo fa per noi: le aziende di prodotti preparati, i ristoranti spuntati in ogni dove, i take-away aperti 24 ore su 24, il banco rosticceria del supermercato, i food shop a ogni angolo della strada. Secondo una ricerca condotta da Coldiretti nel 2010, in Italia si sta verificando una progressiva riduzione del tempo trascorso in cucina per cui, alla preparazione dei pasti, si dedicano appena 35 minuti per il pranzo e 33 minuti per la cena.
Le donne non hanno più tempo, questa è la giustificazione banale e superficiale che ci raccontiamo. In realtà si tratta di una scusa, spesso per nascondere la paura di cucinare e di rapportarci alla cucina delle nostre mamme, delle nostre nonne o degli chef che vediamo in TV. E in generale paura di rapportarci con il cibo, visto sempre più con una componente sacrale, protagonista di programmi televisivi, che richiede rispetto e timore reverenziale.
Quanto agli spettacoli in TV, be’, il cibo quotidiano è tutt’altra cosa da quello spettacolarizzato e tv friendly dei programmi gastronomici: corse contro il tempo, ingredienti improbabili, cotture fantomatiche (che durano il tempo di una pubblicità) e semilavorati spacciati per cucina (decorare una cupcake non è cucinare).
Abbiamo rinunciato a cucinare anche perché negli ultimi anni ci stanno ripetendo che qualcuno può farlo al nostro posto, o meglio di noi. E demandiamo ad altri: all’industria di cibi preparati, piatti e sughi pronti, e surgelati che ogni anno cresce di valore.
Abbiamo rinunciato a cucinare e preferiamo guardare farlo: i programmi televisivi di cucina durano in media molto di più del tempo che passiamo quotidianamente ai fornelli.
Se spegnessimo la TV, e fossimo noi i protagonisti attivi di uno spettacolo gastronomico, senza giudici, né ricette, senza arbitri, né cronometri, prendendoci la libertà anche di sbagliare, scegliendo le nostre materie prime, amandole e trasformandole, il nostro punto di arrivo sarebbe un cambiamento del nostro comportamento alimentare, del nostro rapporto con il cibo e della nostra salute.
È stata infatti individuata una relazione tra il minor tempo dedicato alla cucina e i casi di obesità, specie in coloro che, non cucinando, preferiscono nutrirsi con cibi pronti, al fast food, o utilizzare semilavorati, perdendo completamento il rapporto e il contatto con il cibo.
È facile mangiare, se ti ricordi come farlo
Nelle diete dimagranti, in quelle restrittive, il conteggio delle calorie, l’assunzione di integratori a base di erbe e i programmi alimentari si concentrano sul cibo come se il cibo fosse il problema. Ma il cibo non è mai il problema: il nostro corpo sa quando e quanto mangiare, non serve che ce lo dica qualcun altro. Nella corsa alla ricerca di qualcosa di alternativo alle diete (che, come stiamo dicendo, sono da evitare), c’è chi pensa che dovremmo ristabilire un rapporto autentico con il cibo, perché il nostro rapporto con esso è stato falsato negli anni dal benessere, da interessi commerciali e dallo stile delle nostre vite: il cibo è una moda, un passatempo, un prodotto da comprare. Ormai mangiamo non solo o non più per fame, ma per noia o per socializzare, per piacere e per scoprire.
Chiamato anche “non dieta” e nato alla fine degli anni Settanta, l’Intuitive Eating è una filosofia nutrizionale in base alla quale mangiare secondo i segnali della fame naturale del corpo è il modo migliore per raggiungere un peso sano, piuttosto che seguire una dieta o un regime alimentare che contempli il conteggio innaturale di calorie. È, in pratica, un approccio che insegna come creare una sana relazione tra cibo, corpo e mente, e che ci porta a diventare realmente esperte del nostro corpo e dei nostri bisogni. Imparare a distinguere tra bisogni fisiologici e psicologici, ad esempio, e a raggiungere soddisfazione. È anche un processo che innesca una pace con il cibo, per smettere di vivere in continua preoccupazione con esso. Ciò che promette l’Intuitive Eating è di imparare ad ascoltare e interpretare le richieste del proprio corpo: essendo nati con tutta la saggezza necessaria per nutrirci e per farlo in modo intuitivo seguendo le nostre esigenze interiori e non come reazione agli stimoli esterni, alle regole o alle consuetudini.
Premessa fondamentale dell’Intuitive Eating è quella di fidarsi del proprio corpo: esso è un meccanismo perfetto, geneticamente in grado di stabilire anche il necessario nutrimento per svolgere le attività giornaliere. La sensazione di fame è un segnale che il nostro corpo ci invia per richiedere apporto nutritivo (come quella di stanchezza che ci impone riposo, per esempio), controbilanciata dalla sensazione di sazietà, che ci segnala il limite.
Occorre quindi cominciare ad ascoltare meglio e di più il nostro corpo, fidandosi di esso, imparando a riconoscere le sensazioni di fame e sazietà e collegando il consumo di cibo a queste sensazioni. Quel che sembra un concetto così facile, mangia quando hai fame e smetti quando sei sazio, non lo è affatto, soprattutto per chi ha impostato la propria vita alimentare su anni di diete in cui la quantità di cibo da ingerire non era regolata dal metabolismo ma da tabelle alimentari, calcoli di calorie o altro. Oppure per chi assume cibo in conseguenza di stimoli emozionali e non fisici: gli stimoli visivi della pubblicità, dell’abbondanza di cibo per strada, nei supermercati, nei ristoranti, o chi mangia per consolarsi, o per sfogarsi.
Occorre ritrovare l’intuito innato e originale per approcciarsi al cibo in modo più naturale. Intuito che è stato offuscato e contaminato da un lato dal bombardamento mediatico di falsi miti alimentari e diete, e dall’altro dall’istigazione commerciale a farci mangiare: è possibile mangiare a ogni ora del giorno e della notte, il cibo è ovunque.
I principi fondamentali dell’Intuitive Eating sono i seguenti: rigettare la mentalità della dieta buttando libri e riviste che offrono false aspettative di dimagrimento veloce, indolore e permanente, e arrabbiandosi per le bugie che hanno sempre detto; rispettare la fame nutrendo il corpo con un adeguato apporto di energia e carboidrati e soddisfacendo la sensazione di appetito; far pace con il cibo dandosi la possibilità incondizionata di mangiare ciò che si vuole; sfidare le regole del cibo: calorie, grammi, porzioni sono tutte regole che nulla hanno a che far con il nostro intuito; rispettare il senso di sazietà ascoltando il corpo che sa dirci quando abbiamo ingerito il nutrimento necessario; trovare soddisfazione nel cibo: il cibo sa dare piacere, quando si mangia ciò che si desidera soddisfacendo una propria voglia o imbattendosi in un cibo favoloso, il piacere che ne deriva è una forza potentissima che aiuta a sentirsi soddisfatti e contenti; rispettare i sentimenti, senza usare il cibo per confortare ansie, tristezze, solitudini, noie e de lusioni. Il cibo non risolve i problemi, può consolare nell’immediato, ma non è la soluzione; rispettare il corpo, accettare il proprio codice genetico, la propria corporatura ed essere realistici sulla propria conformazione fisica: così come un piede misura 40 non potrà mai diventare un 38, la stessa cosa vale per le taglie e le forme del corpo. E infine: esercitarsi per star bene. Il movimento fisico non deve essere sfiancante e deve essere focalizzato sul come ci si sente e non sul numero di calorie bruciate. Rispettare la salute: effettuare scelte alimentari che la onorino, evitando i cibi spazzatura.
Mangiare sulla base dei segnali della fame naturale del corpo è il modo migliore per raggiungere un peso sano, il peso naturale che geneticamente ci appartiene, piuttosto che controllare la quantità di energia e grassi negli alimenti. Se si è scollegati dal proprio intimo stimolo di fame/sazietà, sarà più facile essere bersaglio di stimoli esterni per mangiare: emozioni, orari, opportunità, regole, consuetudini, diete.
Spostare poi l’attenzione dal peso alla salute, senza per forza incaponirsi con tabelle, indici o taglie e soprattutto, come dicono gli esperti, considerare che le conseguenze (sul fisico e sulla psiche) di una vita in balia dell’effetto yo-yo siano ben peggiori di qualche consapevole chilo di troppo, portato con orgoglio, consapevolezza e intelligenza.
Non bisogna rinunciare al cibo per essere belle, basta mangiare in modo sano e intelligente, senza privarsi, soprattutto, dei piaceri e della socializzazione insiti nell’atto di mangiare, per non vivere in perenne frustrazione.
Di Martina Liverani, estratti "10 Ottimi Motivi Per Non Cominciare Una Dieta", Laurana Editore, Milano, 2012, pp.31-35. Compilati, digitati e adattati per essere postato per Leopoldo Costa.
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