STORIA DELL'EUROPA A CAVALLO.


Da "equites" a "miles", da Paladino a Cavaliere, una metamorfosi lunga quanto tutto il Medioevo che trasforma i rudi guerrieri delle tribù barbariche, prima, in una orgogliosa e disciplinata "Militia Christi" e, infine, in esempi di virtù e dedizione.

La forza dell'Impero romano era sempre stata basata sulle sue legioni, truppe di fanteria. Gli equites, i cavalieri, erano un ristretto numero di ufficiali appartenenti, quindi, alle famiglie più importanti dell'Urbe; tanto che il vocabolo prese il valore di un titolo nobiliare e gli equites divennero un Ordine e una classe sociale già in tarda età repubblicana. Solo con la riforma di Augusto nacque la vera e propria cavalleria, leggera e pesante, costituita da aloe quingenarie; ovvero da squadroni di 500 uomini, composti soprattutto da auxilia, uomini delle province, guidati da decurioni romani. La cavalleria si dimostrò, nei tre secoli successivi, l'arma fondamentale per tenere a bada le incursione dei popoli barbarici. Tuttavia, nel V secolo dell'era cristiana, l'Impero romano d'Occidente crollò sotto i colpi delle tribù dell'Est che invasero i suoi territori e vi si stabilirono.
Tra queste tribù assunsero sempre più importanza i Franchi, che si erano insediati nella Valle del Reno e nelle terre dell'antica Gallia. Essi allargarono gradualmente la loro sfera d'influenza, tanto che, nell'anno 800, il loro re, Carlo Magno, riunì sotto il suo scettro quasi tutta l'Europa occidentale. Carlo Magno, come già i suoi precessori, incrementò il numero di cavalieri militanti nell'esercito franco, assegnando loro, per pagare il costoso armamento e il lungo addestramento necessari per combattere a cavallo, ampi appezzamenti di terreno. Allorché, nel IX secolo, l'Impero carolingio, sconvolto da guerre civili e da invasioni, si disgregò, la società si riorganizzò intorno a questi armati locali, cui i contadini offrirono i propri servigi in cambio di protezione.
A loro volta, i signori locali si legarono in un analogo rapporto di vassallaggio con i signori più importanti, in una catena di reciproci legami di fedeltà che permearono tutta la società europea e che assunse il nome di "feudalesimo". Al centro di tale sistema stava proprio il rango di cavaliere, ovvero la capacità, sia tecnica sia economica, di combattere a cavallo, che contraddistingueva la classe dominante. Questo nuovo ordine sociale, basato  una classe di cavalieri al servizio di un nobile locale e servita, a sua volta, dai contadini, si consolidò definitivamente intorno all'XI secolo.

Il mestiere delle armi

In realtà, il termine "cavaliere", che indica genericamente l'armato che combatte a cavallo, entrò tardi nel linguaggio delle armi; nel Medioevo si preferiva, infatti, il termine latino miles, che indicava il combattente per eccellenza, contrapposto al termine pedes che indicava il semplice fante appiedato. Il miles medievale era, per definizione, un cavaliere che, in questo caso, diventava un guerriero che usava il cavallo secondo modalità particolari di combattimento.
A differenza degli antichi corpi armati a cavallo, che scagliavano aste leggere o tiravano frecce, il cavaliere medievale reggeva saldamente la lancia, mentre era il cavallo a fornire la propulsione e la forza d'urto necessaria a sfondare le linee nemiche. Secondo alcuni autori questa nuova modalità di attacco, le cui prime testimonianze iconografiche risalgono agli arazzi di Bayeux, fece seguito alla diffusione di accorgimenti tecnici quali la staffa e la sella con arcioni introdotti solo in quei secoli dall'Oriente.
Dunque dall'XI secolo i gruppi armati che difendevano gli interessi dei signori feudali, nelle cui mani erano le terre europee, erano una élite specializzata in un tipo di combattimento che prevedeva il cavallo come parte attiva. Un mestiere che aveva i suoi costi, per mantenere il cavallo e le armi. La cavalleria nasceva, quindi, come professione, derivando direttamente dall'usanza germanica del capo-tribù di circondarsi dei guerrieri più forti e valorosi. Quando i capo-tribù si stanziarono in Europa e si trasformarono in re, ecco allora nascere questi comites, compagni, d'arme, che diventeranno Paladini con Carlo Magno.
Il cavaliere medievale come appartenente alla nobiltà, ma il concetto di nobiltà, inteso come discendenza di sangue e appartenenza a un casato, è di gran lunga successivo rispetto al periodo compreso tra il IX e il XII secolo. Con il diffondersi dell'incastellamento, nel X secolo, si assiste, tuttavia, a un fenomeno nuovo che prelude alla strutturazione di una società più simile a quella oggi conosciuta. Le famiglie aristocratiche si radicano nel territorio, fortificano la propria dimora e la trasformano in un nucleo di potere locale, sempre più autonomo rispetto ai poteri centrali. È fondamentale per il sostentamento che questa proprietà mantenga una certa estensione e diviene, quindi, essenziale che non venga frammentata fra i vari eredi. Si modifica, di conseguenza, la struttura familiare che diviene in questo momento verticale, ossia dominata da rapporti di discendenza patrilineare.
È questa, infatti, l'epoca in cui compare il patronimico e, da esso, il cognome; l'epoca in cui solo il figlio maggiore eredita il castello, il titolo, il patrimonio. l figli cadetti, nonché quelli nati al di fuori del matrimonio, se erano femmine servivano a rinsaldare legami di alleanza attraverso matrimoni concordati; se erano maschi offrivano i loro servigi armati al fratello maggiore o ad altri parenti, oppure partivano all'avventura cercando gloria e bottino nell'impresa guerresca. Solo talvolta, in virtù delle loro capacità, giungevano a ollenere in moglie un'ereditiera o una vedova con possedimenti e, quindi, a formare un loro lignaggio.
Se una parte della cavalleria era composta da questa porzione di aristocrazia tagliata fuori dalla trasmissione erediraria del potere, esistevano, tuttavia, anche armati a cavallo di ben altra estrazione: proprietari di terre senza nobili natali, ma con denaro sufficiente per armarsi che si mettevano al servizio del signore locale nella speranza di poter Ollenere, infine, un loro feudo. Analoga aspirazione era coltivata da una massa di uomini d'arme che esercitavano la cavalleria come mestiere per sopravvivere, provenendo da vecchi eserciti o da tribù sconfitte. La storia del Medioevo è piena di esempi di questo lipo di cavalieri senza nobili natali che riescono, alla fine, a ottenere una promozione sociale, ricevendo dal signore terre da gestire in proprio o sposando nobili dame. Dunque la cavalleria, sino a tutto il XII secolo, non è una cIasse sociale chiusa, coincidente con l'aristocrazia, ma un sistema aperto, con possibilità di accesso dal basso.

Da predoni a cavalieri di Cristo

Il cavaliere, [Uttavia, non era solo un uomo d'armi; la sua vita sociale, i suoi atteggiamenti, il suo modo di comportarsi influivano enormemente in una società, come quella europea tra il IX e il XII secolo ancora incerta, squassata e preda di continue guerre. In questo senso va, quindi, inquadrata la grande opera educatrice svolta daUa Chiesa cristiana. Le bande armate a cavallo che compivano scorribande uccidendo, devastando e depredando quella che era stata la ricca, florida e pacifica Europa dell'Impero romano, una volta sconfitte le Legioni furono affrontate da una piccola armata di sacerdoti e monaci coraggiosi che, con grande fede e immensa forza, portarono il Verbo di Cristo ai popoli invasori. Insieme con la nuova religione, tuttavia, giungeva anche una nuova etica. Uccidere non era più un esercizio di virilità, ma costituiva un peccato.
Ci vollero secoli per trasformare i cavalieri Franchi, Alemanni, Sassoni o Britanni in una Militio Chrisli e ancora altri secoli occorsero per trasformare i rudi e sanguinari guerrieri del primo possogium (il termine Crociata è un'invenzione relativamente moderna) nei forbiti cavalieri dell'amor cortese. Eppure questa è stata la grande opera intrapresa, soprattutto a partire dalla Riforma gregoriana, e realizzata grazie all'introduzione delle Regole, prima nei monasteri (che ridisegnarono la geografia e la cultura del Continente e svolsero un'opera di moralizzazione del clero), poi trasmesse da loro agli Ordini cavallereschi formatisi in Terra.

COME SI DIVENTAVA CAVALIERE.

Quando il rampollo di una nobile casata era ritenuto maturo per iniziare la sua educazione di cavaliere Iciò avveniva intorno ai sette annil, veniva inviato nella dimora di un gentiluomo parente. Qui imparava sia a stare in società, sia a cavalcare. Intorno ai quattordici anni passava al seguito di un cavaliere in qualità di scudiero. apprendeva cosi a maneggiari le armi, ad accudire il cavallo de suo signore, a temere in ordine il suo equipaggiamento. Accompagnava il cavaliere anche in battaglia, aiutandolo a indossare l'armatura e soccorrendolo quando era ferito. Imparava a tirare con l'arco e a trinciare la carne da mettere in tavola. Infine, se svolgeva in modo soddisfacente questo apprendistato, intorno ai vent'anni, riceveva la sospirata investitura a cavaliere. I giovani che volevano assurgere al rango di cavaliere, dovevano curare con attenzione la loro preparazione fisica. Così, gli scudieri esercitavano in continuazione i loro muscoli e si addestravano con costanza nell'impiego delle armi. Era un tirocinio di notevole durezza, a cui non tutti resistevano. Infine, lo scudiero era nominato cavaliere nel corso di una solenne cerimonia di investitura_ Il "buffetto", affibbiato con la mano sulla guancia o sulla nuca del neo cavaliere, venne sostituito, nel XIII secolo, da un colpetto dato con il piatto della spada sulla spalla. Il cavaliere cingeva poi spada e speroni, ornamenti con cui partecipava alle successive celebrazioni in cui faceva sfoggio della sua abilità.

L'ARALDICA

I soldati hanno sempre decorato i loro scudi; lo facevano già i Romani per distinguere le singole legioni, come lo facevano i barbari per spaventare il nemico. Nel corso del XII secolo, tuttavia, quesfuso andò radicandosi secondo certe regole predefinite, che consentivano a un cavaliere di identificarsi con precisione, attraverso i disegni dello scudo, della sopravveste, dello stendardo. L'insieme delle regole con cui usare colori, simboli, stemmi, emblemi, costituisce l'araldica, divenuta con il tempo una complessa disciplina, ma nata, forse, solo per distinguere i combattenti nel corso dei tornei (o delle battaglie!. L'araldica si basa su regole ferree: uno stemma era proprietà esclusiva di un determinato cavaliere e, dopo la sua morte, passava al figlio primogenito, gli altri figli usavano una variante delle "armi"' del padre. Queste "armi" erano descritte con un rigido linguaggio convenzionale, così come rigidamente codificati erano i colori e i "metalli"" (argento e arai usati negli stemmi.

Di Oscar Donati, estratti dalla rivista "Dossier Cilviltà" anno II, n. 1" 2012, Milano. Compilati, digitati e adattati per essere postato per Leopoldo Costa.

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