LA McDONALDIZZAZIONE DELLA SOCIETÀ

Dettagli sull' Opera 


Ormai li vediamo dappertutto i negozi fast food sormontati dal celebre marchio dei due archi dorati. Sono il segno dell'ulteriore avanzata del modello americano di consumo. Non solo coca-colonizzati, ma anche Mcdonaldizzati dunque (Per alcuni tutto ciò può essere anche una forma possibile di felicità terrena). Il libro spiega le ragioni dell'irresistibile diffusione dei McDonald's e avanza qualche preoccupazione. I fast food non sono altro che un'applicazione coerente ed estrema - in un campo quello culinario così legato alla manualità e ai gusti personali che si riteneva potesse esserne escluso - della razionalizzazione burocratica descritta da Max Weber, dei principi dell'organizzazione scientifica del lavoro di Taylor e di una fortunata formula giuridica di concessione, il franchising. Insomma, Tempi Moderni, a tavola. 
I rischi legati a questa filosofia di mercato, che non è solo una forma di consumo, ma la filosofia stessa della modernità, sono quelli dopotutto segnalati da qualche pensatore sociale dell'800. Alienazione, sia dei consumatori che degli addetti (tutti quei ragazzi costretti ad un cameratismo falso ed ipocrita), progressiva omogeneizzazione del mondo intero. A ciò si aggiunga qualche problema di natura gastrica. Se la Mcdonaldizzazione è vista come processo centrale del mondo moderno questo libro ambisce ad essere un'analisi ed una critica (che a tratti è convincente a tratti un po' coccodrillesca), della modernità tout court. 


I contenuti 


Che cosa c'entra Max Weber con il Big Mac? Per quanto irriverente, l'accostamento non è peregrino: il modello d'organizzazione sociale che per Weber toccava la sua forma più compiuta nella burocrazia, trova secondo Ritzer una declinazione lampante nel "sistema McDonald's", fondato sull'efficienza, la quantificazione, il calcolo, la prevedibilità, il controllo. Esempio per eccellenza: l'hamburger. Dimensioni e peso sono uguali in tutti i paesi del mondo, la confezione è uniforme, le modalità di consumo sono preordinate, il prezzo viene usato dagli economisti per comparare il costo della vita a livello internazionale. Un modello che sembra ormai regnare in ogni ambito della vita sociale: tra ipermercati e programmi televisivi, parchi Disneyland e vacanze preconfezionate, la standardizzazione si fa strada nell'istruzione e nella medicina, nella religione e nello sport. 
Pur sottolineando l'irreversibilità di tale processo, l'autore ne mette in luce gli aspetti degenerativi e i limiti intrinseci (iper- razionalità che scatena irrazionalità), e propone alcune strategie per mitigarne le conseguenze più disumanizzanti. 


Indice 


Premessa
Introduzione.- La mcDonaldizzazione della società
1. I precursori: dalla "gabbia d'acciaio" alla fabbrica del fast food
2. Efficienza: in macchina nel Mondo Incantato sgranocchiando bocconcini
3. Calcolabilità: Big Mac e micro chip
4. Prevedibilità: non piove mai su quelle casette sul pendio
5. Controllo: robot umani e robot artificiali
6. L'irrazionalità della razionalità: ingorghi sulle rotte della felicità
7. La "gabbia d'acciaio" della mcDonaldizzazione?
8. Frontiere della mcDonaldizzazione: nascita, morte e oltre
Conclusioni. Guida pratica per vivere in una società mcDonaldizzata 

LA «GABBIA D'ACCIAIO» DELLA MCDONALDIZZAZIONE?

Non c'è alcun dubbio che la mcDonaldizzazione ci accompagnerà nel prossimo futuro. E tuttavia gli aspetti fortemente irrazionali che ad essa si accompagnano ci costringono a domandarci seriamente se si tratti di un futuro auspicabile. Gli interrogativi inquietanti che lo accompagnano possono a ragione portarci a dire che sarà caratterizzato, per parafrasare Weber, dalla «gabbia d'acciaio della mcDonaldizzazione». Col che voglio dire che, a mano a mano che la mcDonaldizzazione arriverà a dominare un numero sempre più alto di settori della società, diventerà sempre meno possibile «sfuggirle». L'espressione «gabbia d'acciaio» lascia bene intendere un punto di vista negativo sulla natura di ciò che tiene ingabbiate le persone, vale a dire la mcDonaldizzazione. Inoltre questi sistemi razionali, tra loro interconnessi, possono cadere nelle mani di un numero ristretto di leader, tramite i quali un controllo fortissimo potrebbe venire esercitato sull'intera società.
Forse l'estrema irrazionalità della mcDonaldizzazione è l'eventualità che gli individui perdano la capacità di controllare il sistema, e che sia questo a prendere in mano il comando. Già oggi tanti aspetti della nostra vita sono in mano a sistemi razionali, ma si ha per lo meno l'impressione che il controllo sia ancora nelle mani dell'uomo. Si tratta però di sistemi in grado di sfuggire persino a coloro che ne occupano le posizioni di vertice. Così, il senso più estremo della «gabbia d'acciaio della mcDonaldizzazione» è questo: può trasformarsi in un sistema disumano che controlla tutti, leader inclusi. Con nessuno cui appellarsi, opporsi, o da rovesciare nel tentativo di fuggire, la gente diventerebbe ancor più inesorabilmente prigioniera. Si tratta di un genere di paura che ha ispirato molti scrittori di fantascienza e che si può trovare in classici come "1984", "Il mondo nuovo" e "Fahrenheit 451". In questi romanzi si raffigura un futuro terrorizzante, dominato dalla paura; ma la mcDonaldizzazione è qui, tra noi, è già stata in mezzo a noi per un pezzo, e va alla conquista di ogni aspetto della società. - Le forze che sospingono la mcDonaldizzazione.
Sarebbe lecito domandarsi: ma allora, tenuto conto di questi aspetti irrazionali, perché andare incontro a questo tipo di futuro? Perché non fare marcia indietro davanti alla sempre maggiore istituzionalizzazione di questo fenomeno? Per rispondere, è necessario prendere in considerazione tre fattori trainanti del processo:
1) interessi materiali, soprattutto finalità e ambizioni economiche;
2) la cultura americana che concepisce la mcDonaldizzazione come una finalità importante di per sé;
3) la sua sintonia con vari cambiamenti in atto all'interno della società. Prendiamo brevemente in considerazione ciascuno di questi fattori.

Maggiori profitti e costi inferiori.

Max Weber sosterrebbe che sono in definitiva interessi materiali o, per essere più precisi, economici, a guidare la razionalizzazione all'interno delle società capitaliste. Le aziende basate sul profitto perseguono la mcDonaldizzazione per il fatto che comporta costi inferiori e profitti più alti. Ovviamente si dà molto peso all'efficienza e si ricorre più massicciamente alla tecnologia per aumentare la redditività. Un incremento della prevedibilità garantisce, se non altro, il clima necessario all'organizzazione per dare utili e per farli crescere in modo costante di anno in anno. L'importanza accordata alla calcolabilità, a ciò che può essere quantificato, contribuisce a raggiungere decisioni che possono produrre profitti e farli aumentare, consentendo una loro misurazione. Per quanto non orientate al profitto, anche le organizzazioni senza scopi di lucro abbracciano la mcDonaldizzazione per ragioni materiali, nello specifico perché abbassa i costi. E costi inferiori vogliono dire, per questo genere di imprese, la possibilità di sopravvivere e magari di espandere il raggio del loro intervento. Maggiore efficienza e l'utilizzo crescente delle macchine tendono ad abbassare i costi in tempi brevi. E un ambiente più prevedibile è quello in cui si può puntare a una riduzione dei costi più veloce. La calcolabilità consente poi alle organizzazioni senza fini di lucro di valutare l'effettiva riduzione delle spese. Chi ci lavora dentro è poi direttamente interessato a far aumentare le entrate e ad abbassare i costi perché può derivarne una crescita dei salari. Così, gli elementi della mcDonaldizzazione consentono anche ad imprese non di lucro di far crescere le entrate e di far diminuire i costi.
E' interessante osservare che anche gli straordinari cambiamenti avvenuti in Russia e nell'Europa orientale si possono spiegare dal punto di vista della mcDonaldizzazione. Si può affermare che il comunismo costituisse un ostacolo alla razionalizzazione, e di conseguenza nei paesi con quel tipo di regime la mcDonaldizzazione non poteva attecchire. Ecco perché le società comuniste tendevano ad essere caratterizzate da inefficienza, mancanza di calcolabilità e prevedibilità, e ad essere relativamente arretrate (a parte la sfera militare) quanto all'utilizzo di tecnologie. Queste società erano dunque afflitte da una serie di problemi economici (e sociali) che le hanno costrette a rinunciare al loro regime economico per orientarsi verso un'economia più vicina a quella di mercato. In altre parole, sia la Russia sia l'Europa dell'est si stanno dirigendo a grandi passi verso una maggiore razionalizzazione, motivata dal desiderio di migliorare la propria condizione materiale.

La mcDonaldizzazione fine a se stessa.

Se è vero che alla base del processo ci sono dei fattori economici, non va tuttavia trascurato il fatto che esso ha raggiunto un indice di gradimento tale che ormai individui e imprese di tutti i tipi tentano di raggiungerlo come fine a sé stante. Vale a dire che molti di noi, come individui o come rappresentanti di istituzioni, sono arrivati ad apprezzare efficienza, calcolabilità, prevedibilità e controllo, e ad andarne in cerca indipendentemente dall'utile che se ne può trarre. L'efficienza, per esempio, è qualcosa che ai nostri giorni tutti abbiamo imparato ad apprezzare, e la ricerchiamo anche là dove non comporta vantaggi dal punto di vista economico. In questo senso mangiare in un fast food (o possedere un forno a microonde) forse è segno di efficienza, ma comporta una spesa superiore a quella di un pasto casalingo tradizionale. Ma, siccome diamo un valore all'efficienza in quanto tale, siamo disposti a pagare un extra.
Su un piano più macroscopico, mentre l'apertura dell'ennesimo centro mcDonaldizzato può avere un significato economico per l'ennesimo imprenditore, c'è da domandarsi se abbia un senso anche a livello sociale avere una simile concentrazione di istituzioni in locali che offrono beni e servizi pressoché identici. Dopo tutto, a parte la sua forma squadrata, l'hamburger che offre Wendy's è più o meno lo stesso che si trova da McDonald's. Eppure, nonostante non abbia sempre senso dal punto di vista economico, la mcDonaldizzazione continua ad essere ambita: ciò significa che non si può spiegarla semplicemente in termini di interesse materiale. E' diventata un qualcosa che si apprezza in sé e per sé, e che si è disposti ad accettare anche quando non c'è di mezzo una ragione economica.
I motivi di questa attribuzione di valore non sono difficili da rintracciare. A partire dall'epoca della sua prima espansione, alla fine degli anni cinquanta, McDonald's (per non parlare della miriade di altri agenti di razionalizzazione) ha fatto investimenti e sforzi enormi per convincerci del suo pregio e della sua importanza. Arrivando a dichiararsi parte della grande tradizione americana invece che, come ritengono molti, un attentato a quel patrimonio. Molti di noi hanno frequentato quei locali da ragazzi, andandoci in compagnie di teenager per un hamburger, e in seguito per portarci i figli in varie fasi della loro crescita, o per prendere un caffè coi nostri genitori. McDonald's racchiude in sé una forte carica emozionale, che ha contribuito a plasmare e poi ha sfruttato per crearsi un largo seguito di clienti affezionati.
La fiducia che ripongono in McDonald's è basata su fattori emotivi più che razionali, nonostante che i principi grazie ai quali l'impresa si è affermata siano invece del tutto razionali. E' assai probabile, pertanto, che essa continui ad espandersi, dal momento che offre i vantaggi di un'organizzazione razionale e, al contempo, gode della fiducia dei clienti. La fiducia porta le persone a non rendersi conto degli svantaggi, il che, a sua volta, contribuisce ad accrescere la disponibilità universale per gli sviluppi futuri del processo.

McDonaldizzazione e società in mutamento.

Una terza spiegazione della corsa alla mcDonaldizzazione è la sua sintonia con altri cambiamenti che si verificano nella società in varie parti del mondo. Per esempio, dal momento che il numero di donne con un lavoro fuori delle mura domestiche è in espansione, sono sempre più frequenti le famiglie con due carriere professionali. Nella famiglia nucleare tradizionale, in cui ad andare al lavoro era il marito, mentre la moglie pensava a far da mangiare e badava alla casa e ai bambini, era concepibile un pasto preparato con cura a partire dagli ingredienti primari e consumato con calma.
Ma nella famiglia moderna, in cui succede che vadano a lavorar fuori tutti e due i coniugi, diminuiscono le possibilità che ci sia qualcuno che abbia il tempo necessario per fare la spesa, preparare gli ingredienti, seguire la cottura, quindi mangiare e infine rigovernare. Può anche accadere che non ci sia nemmeno tempo (o denaro), per lo meno nei giorni lavorativi, per fermarsi a mangiare in un ristorante tradizionale. Si capisce, pertanto, come la velocità e l'efficienza di un fast food si adattino bene alle esigenze di una famiglia moderna del tipo considerato. E vantaggi simili, a questi tipi di famiglie, sono offerti da molte altre istituzioni modellate secondo quelle caratteristiche. In una società in cui si dà grande importanza alla mobilità, soprattutto in macchina, il modello del fast food è destinato ad attecchire.
Inutile dire che l'automobile ha un ruolo sempre più centrale negli Stati Uniti come nel resto del mondo, ed è sempre più comune soprattutto tra i teenager e le persone giovani che sono i principali frequentatori dei fast food. E una macchina è pressoché indispensabile per recarsi nella maggior parte di questi locali, a eccezione di quelli situati nel centro delle aree metropolitane. Più in generale, il ristorante fast food ben si adatta a una società i cui membri vogliono essere persone attive. Uscire per consumare un pasto in un McDonald's, o per qualche altra attività razionalizzata, è in sintonia con le aspettative di questa società; e ancor meglio si presta lo sportello del servizio "drive-through", perché lì per mangiare non c'è nemmeno bisogno di fermarsi. Altro fattore funzionale alla mcDonaldizzazione è l'aumento del numero di individui che si spostano di frequente da un capo all'altro del paese, per lavoro o per diporto.
Queste persone, a quanto pare, gradiscono l'idea che, quando si trovano lontano da casa, possono sempre andare nel consueto locale fast food per gustare il cibo cui sono abituate. L'aumento del benessere e la maggiore disponibilità di denaro è un altro fattore del successo di questi locali. Come s'è visto, non sono poi così economici come danno a intendere. L'«abitudine» di mangiare regolarmente in un locale di questo tipo può avercela solo chi ha denaro in più da spendere. Allo stesso tempo, per chi ha problemi economici, il fast food rappresenta pur sempre una possibilità di andare a fare un pasto fuori, il che sarebbe assolutamente impossibile in un ristorante tradizionale.
Naturalmente è il cambiamento tecnologico che ha avuto con tutta probabilità il ruolo più significativo nel successo di questi sistemi. All'inizio sono state tecnologie come la burocrazia, l'organizzazione scientifica del lavoro, la catena di montaggio e il frutto più cospicuo di quel sistema di produzione, l'automobile, a contribuire alla nascita della società fast food. Nel corso degli anni è incalcolabile il numero di sviluppi tecnologici che hanno fatto da pungolo alla mcDonaldizzazione, o ne sono st ati a loro volta stimolati. Nella lista andrebbero inclusi strumenti tipo il misuratore dei grassi, il distributore di bibite automatico, gli scanner alla cassa dei supermercati, i cibi ad autocottura, il forno a microonde, l'acquicoltura, l'allevamento industriale, gli attrezzi StairMaster, le videocassette, gli stadi coperti, l'orologio di 24 secondi, i camper, i registratori di cassa computerizzati, la segreteria telefonica e le organizzazioni per l'assistenza sanitaria.
Negli ultimi tempi il computer è venuto a rivestire un ruolo centrale nella crescita della mcDonaldizzazione (1). C'è da aspettarsi ulteriori prodigi tecnologici nel futuro, molti dei quali saranno un portato delle crescenti esigenze della società mcDonaldizzata o, a loro volta, contribuiranno a creare. In quest'ottica bisognerà fare un accenno all'importanza sempre maggiore che va assumendo il ciberspazio, su Internet, e a coloro che spendono una buona parte del la giornata «navigando» in rete. Per esempio uno dei service, Compuserve, è cresciuto da un milione e centomila membri nel 1992 a 2 milioni e 700 mila nel 1994 (2). Questa nuova tecnologia, resa possibile dal computer, la si può rapportare alla mcDonaldizzazione in vari modi. E' indubbiamente una maniera efficiente di comunicare con grandi numeri di persone. Contare il numero di messaggi ricevuti può risultare gradevole, sebbene quella cifra non dica nulla sulla «qualità» dei messaggi.
Questi sono in genere abbastanza prevedibili, sebbene non si possa escludere il caso che il più imprevedibile di tutti appaia un giorno sul nostro schermo (3), come è anche vero che c'è pochissimo o nessun controllo su Internet. La cosa più notevole è forse il fatto che la gran parte dei messaggi della «comunità virtuale» del ciberspazio è impersonale: la comunicazione attraverso la «rete» è perciò un fatto disumanizzante. Va segnalato che McDonald's è in prima fila nell'uso del ciberspazio per pubblicizzare i suoi prodotti: un altro modo in cui Internet promuove la mcDonaldizzazione.

La mcDonaldizzazione e qualche prospettiva alternativa: il fast food nell'era dei «Post».

In questa sede presentiamo la mcDonaldizzazione come un processo centrale nel mondo "moderno", e in questo senso il libro costituisce un'analisi e una critica della "modernità". Esiste, però, una serie di punti di vista contemporanei, soprattutto quello del postindustrialismo, il postfordista e il postmoderno, secondo i quali saremmo già oltre la dimensione della modernità, proiettati in una società nuova e totalmente diversa. Da questi punti di vista, considerati complessivamente, si potrebbe dedurre che l'ottica di questo libro è passatista, centrata com'è su un fenomeno «moderno» (la mcDonaldizzazione) che sta sparendo, o sarebbe sul punto di farlo, e davanti all'emergere di una nuova forma di società (postindustriale, postfordista o postmoderna). La tesi sostenuta in questo testo, invece, è che la mcDonaldizzazione e le sue caratteristiche «moderne» non solo ci accompagneranno per il prossimo futuro, ma vanno anche estendendo la loro influenza sulla società con sempre maggiore intensità.
Così, pur non negando l'importanza delle tendenze post-industriali, post-fordiste e post-moderniste, va detto che alcuni studiosi legati a questi punti di vista hanno avuto troppa fretta nel decretare la fine della modernità, per lo meno nella sua versione mcDonaldizzata. Questo libro, dunque, si pone come una critica delle versioni estreme di quei punti di vista alternativi. Prendiamoli brevemente in considerazione, precisando per ciascuno il rapporto che con esso stabilisce la mcDonaldizzazione.

Postindustrialismo: mcDonaldizzazione o sneakerizzazione? 

Tra chi ha sostenuto che saremmo già al di là dell'era industriale, in una nuova società postindustriale la figura di maggior rilievo è quella di Daniel Bell (4). Lo studioso sostiene, tra le altre cose, che saremmo passati da una società che produceva beni a una di servizi. Vale a dire che cinquanta o settantacinque anni fa l'economia degli Stati Uniti era basata sulla produzione di beni tipo acciaio o automobili. Oggi, invece, è centrata sulla fornitura di servizi, tipo assistenza sanitaria e fast food.
Bell mette anche in risalto la nascita di nuove tecnologie e l'aumento delle conoscenze e dell'elaborazione dell'informazione, come anche l'aumento di numero e di importanza di professionisti, scienziati e tecnici. Va però detto che, nonostante questa crescita, i servizi di basso livello non danno la sensazione di essere in estinzione e, in effetti, sono aumentati e risultano fondamentali in una società mcDonaldizzata.
La mcDonaldizzazione affonda le sue radici, come s'è visto, in molte idee e sistemi della società industriale, soprattutto la burocratizzazione, la catena di montaggio e l'organizzazione scientifica del lavoro. Lo sviluppo della mcDonaldizzazione contraddice, per lo meno in parte e per lo meno nei settori della società in cui è importante (e sono molti), l'idea che ci saremmo spostati in una società postindustriale. La società è senza dubbio postindustriale per vari aspetti, ma la diffusione della mcDonaldizzazione sta a indicare che certe caratteristiche del mondo industriale ci accompagneranno ancora per qualche tempo a venire.
Nel loro libro "Post-Industrial Lives" Jerald Hage e Charles Powers si sono schierati a favore della tesi postindustriale (5). Rivendicano, tra le altre cose, la nascita di una nuova organizzazione postindustriale coesistente con quella industriale classica come anche con altre forme organizzative. L'organizzazione postindustriale avrebbe tutta una serie di caratteristiche, tra cui il livellamento delle distinzioni gerarchiche, l'attenuazione dei confini tra un'organizzazione e l'altra, una struttura organizzativa più integrata e meno specializzata, uno sviluppo di comportamenti non vincolati da regole, e politiche d'assunzione che privilegiano la creatività dei potenziali dipendenti. E' indubbio che si tratti di forme organizzative in crescita, ma lo sono anche quelle mcDonaldizzate. La verifica fattuale conforta l'una e l'altra tesi:la società moderna contiene evoluzioni organizzative contraddittorie.
In molti casi le caratteristiche delle strutture mcDonaldizzate sono esattamente all'opposto rispetto a quelle altre, poiché continuano a essere gerarchiche, con stretta regolamentazione del comportamento dei dipendenti nonché dei dirigenti, e con la creatività come ultimo criterio al momento di assumere qualcuno. Hage e Powers osservano che i posti di lavoro per i «compiti più nettamente definiti, tecnicamente semplici e il più delle volte ripetitivi vengono eliminati dall'automazione» (6). Se ciò vale per molti posti nell'industria pesante, essi non solo sono ancora vivi e vegeti, ma in espansione all'interno della organizzazioni mcDonaldizzate. Le organizzazioni postindustriali sono anche caratterizzate dalla personalizzazione del lavoro e dei prodotti, mentre lavoro standardizzato, sulla base di procedure e canoni uguali per tutti, e prodotti uniformi sono il marchio degli ambienti McDonald's.
Parallelamente è venuto alla luce un processo detto di «sneakerizzazione» (7). Non significa proprio personalizzazione, ma comporta la diversificazione delle linee di prodotto. Laddove una volta c'era un'unica "sneaker" per ogni occasione, oggi ne abbiamo una per ogni esigenza: per correre, per camminare, per l'aerobica, per il basket, per andare in bici e così via. Evoluzioni di questo genere si ritrovano dappertutto: esistono cento tipi di walkman, 3 mila modelli di orologi Seiko, e 800 televisori a colori Philips. Esempi che riflettono tutti la sostituzione della produzione di massa da parte di un mercato più agile.
Si può sostenere che «sneakerizzazione» e mercato agile rappresentino una critica, e un'alternativa, alla mcDonaldizzazione? Se è vero che è più facile mcDonaldizzare un unico tipo di scarpe sportive, non c'è nulla che ne impedisca la produzione e la vendita di un ampio ventaglio di tipi diversi. Come in effetti hanno fatto produttori quali Nike e Adidas, e catene di vendita al dettaglio come The Athlete's Foot e Foot Locker. La produzione e la vendita di un'ampia linea di prodotti non presenta alcun ostacolo alla mcDonaldizzazione: al contrario, è proprio qui il suo futuro. Hage e Powers intravedono un più ampio cambiamento nella società nel suo insieme in cui grande spazio avranno le personalità creative, complesse, e la comunicazione tra individui con queste caratteristiche.
Per quanto certi aspetti della società siano consoni a quest'immagine, la mcDonaldizzazione continua a richiedere cervelli niente affatto creativi, personalità elementari e una comunicazione ridotta al minimo all'insegna dei copioni e delle routine. In definitiva la tesi postindustriale non è erronea, ma più limitata di quanto molti dei suoi seguaci credano. La postindustrializzazione coesiste con la mcDonaldizzazione. E questa non solo non dà segno di voler scomparire, ma va aumentando d'importanza in maniera impressionante. Il che è il contrario di quanto sostenuto da Hage e Powers, secondo i quali non la razionalizzazione, ma la «complessificazione sarà il modello prevalente del mutamento sociale nella società postindustriale» (8). La mia opinione è che a imporsi saranno tutt'e due i modelli, ma ciascuno in settori differenti dell'economia e della più ampia realtà sociale.

Fordismo e postfordismo: o si tratta di mcDonaldismo?

Una problematica di questo tipo stimola l'interesse di diversi studiosi marxisti, a parere dei quali ci sarebbe stata una transizione dal fordismo, cioè dalle idee, principi e sistemi creati da Henry Ford, al postfordismo. All'idea di fordismo si associano diverse caratteristiche. Per prima cosa, si riferisce alla produzione di massa di prodotti omogenei. L'esempio classico è il modello T della Ford, i cui esemplari erano identici in tutto, compreso il colore nero. Ma anche le automobili odierne sono in gran parte omogenee, per lo meno quelle che appartengono alla stessa categoria. La Ford, per esempio, ha prodotto negli Stati Uniti nel 1995 una cosiddetta «auto universale» (la Contour), una macchina per tutti i mercati del globo. In secondo luogo il fordismo comporta tecnologie rigide, tipo la catena di montaggio.
Sebbene ci siano stati tentativi di apportare modifiche, soprattutto alla Volvo in Svezia, le attuali catene di montaggio non sono così diverse da quelle originarie. In terzo luogo, il fordismo comporta l'adozione di routine lavorative di tipo tayloristico, sicché l'addetto al montaggio delle coppe, nella catena delle automobili, ripete la stessa operazione, continuamente, e ogni volta più o meno allo stesso modo. Quarto, gli incrementi della produttività derivano da «economie di scala, nonché dalla dequalificazione, dall'intensificazione e dall'omogeneizzazione del lavoro» (9).
"Economia di scala" significa semplicemente che le aziende più grandi che producono un maggior numero di prodotti sono in grado di abbassare il prezzo del singolo prodotto rispetto alle aziende più piccole che hanno una produzione quantitativamente inferiore. "Dequalificazione" significa che la produttività viene incrementata se si dispone di un certo numero di addetti con mansioni che richiedono scarsa, o nessuna, abilità (per esempio montare le coppe delle ruote), al posto di operai altamente qualificati come accadeva nel passato. "Intensificazione" qui vuol dire che la produttività è tanto maggiore quanto più esigente e veloce è il processo di produzione.
L'"omogeneizzazione del lavoro" comporta una grande specializzazione (le coppe delle ruote, tanto per ripeterci) sicché ciascun addetto esegue lo stesso tipo di lavoro altamente specifico. E ciò serve a rendere le persone intercambiabili. Infine, il fordismo comporta lo sviluppo di un mercato per i prodotti omogeneizzati dell'industria di massa e l'omologazione dei modelli di consumo che ne deriva. Nel caso dell'industria automobilistica, il fordismo ha portato a un mercato nazionale dell'automobile, in cui individui di condizione sociale simile compravano macchine simili se non addirittura identiche. Il fordismo, sviluppatosi in questo secolo soprattutto negli Stati Uniti, raggiunse il suo vertice e contemporaneamente l'inizio del suo declino negli anni settanta, soprattutto dopo la crisi petrolifera del 1973 e il successivo declino dell'industria automobilistica americana, mentre nel frattempo si faceva sempre più forte la concorrenza giapponese. Ne deriverebbe, secondo alcuni, che saremmo di fronte al declino del fordismo e alla nascita del postfordismo, con una serie di caratteristiche specifiche.
Prima di tutto, c'è un calo di interesse verso la produzione di massa e un crescente interesse per prodotti più specializzati, soprattutto quelli di alto livello stilistico e qualitativo, e più personalizzati. Al posto di prodotti monotoni e uniformi, i consumatori li vogliono attraenti e ben differenziati (10). In più, oggi, sembrano maggiormente interessati alla qualità e disponibili a pagare qualcosa in più per merce qualitativamente superiore.
In secondo luogo, la maggiore specializzazione della merce richiesta nella società postfordista richiede cicli più brevi e porta a sistemi più snelli e più produttivi. Sicché non è improbabile che si assista a un abbandono dei giganti industriali che sfornano merce uniforme a favore di impianti più piccoli che forniscono un'ampia gamma di prodotti differenziati.
Terzo, nel mondo postfordista c'è da aspettarsi una produzione più flessibile resa maggiormente redditizia dall'avvento di nuove tecnologie. Per esempio, i macchinari computerizzati che possono essere riprogrammati per dare prodotti diversi al posto della vecchia tecnologia monovalente. Queste innovazioni rendono redditizia la produzione di una serie di beni diversi. Questo nuovo e più flessibile processo produttivo viene controllato ricorrendo a sistemi meno rigidi, per esempio una forma di gestione più duttile.
In quarto luogo, sembra che i sistemi postfordisti, rispetto ai precedenti, pretendano molto più dai lavoratori. Questi devono possedere diverse capacità e una formazione più adeguata per riuscire a metter mano alle nuove, più esigenti e più sofisticate tecnologie. Proprio queste richiedono, da parte dei lavoratori, la capacità di assumersi maggiori responsabilità e di operare con maggiore autonomia. A quanto pare, è un nuovo tipo di lavoratore ad essere richiesto.
Infine, la differenziazione sul lavoro porta alla richiesta di beni di consumo, stili di vita e programmi culturali non omogenei. In altre parole, la maggiore diversificazione sul posto di lavoro si riflette sulla società nel suo insieme; il che porta a sua volta ad esigenze ancora maggiormente distinte e ad una ulteriore differenziazione sul piano lavorativo. Abbiamo sostenuto che non si può parlare a tutti gli effetti di una netta rottura storica col fordismo; così come si può ammettere che elementi di postfordismo siano emersi in epoca moderna, è altrettanto lecito affermare la sopravvivenza di tanti aspetti del fordismo che non danno segno di voler scomparire. In particolare il «mcDonaldismo», un fenomeno che ha chiaramente molte cose in comune col fordismo e va crescendo a ritmo stupefacente. Tra le tante caratteristiche condivise possiamo segnalare l'omogeneità della produzione, la rigidità delle tecnologie, la routine e la dequalificazione del lavoro, l'omogeneizzazione del lavoro (e della clientela), la massificazione degli operai, e l'omologazione del consumo. Diamo uno sguardo a ciascuno di questi elementi del mcDonaldismo, cioè diamo un'occhiata alla mcDonaldizzazione dal punto di vista del fordismo.
Per prima cosa, un mondo mcDonaldizzato è dominato da prodotti omogenei. Big Mac, uovo McMuffin e pollo McNuggets sono sempre identici da un posto all'altro. Poi, tecnologie tipo il nastro trasportatore di Burger King's, e come le friggitrici e i distributori di bibite in tutta l'industria del fast food, sono rigide come molte di quelle adoperate nella catena di montaggio di Ford. Le routine lavorative nei ristoranti fast food sono altamente standardizzate; lo sono persino le parole che il cameriere rivolge al cliente. E in aggiunta le mansioni sono dequalificate, non richiedendo pressoché nessuna abilità. I lavoratori sono anch'essi omogenei, e il comportamento dei clienti viene omogeneizzato dalle pretese del ristorante fast food (per esempio, non ci si può azzardare a chiedere un tipo insolito di hamburger). Gli addetti nei locali possono essere considerati un agglomerato di elementi intercambiabili. Infine, ciò che viene consumato, e il modo come lo si fa, e omogeneizzato dalla mcDonaldizzazione.
E' in queste forme, e in altre ancora, che il fordismo è ancora vivo e vegeto nel mondo moderno, seppure trasformato in mcDonaldismo. Per non dire del fordismo classico che, per esempio sotto le spoglie della catena di montaggio, resta una presenza significativa nell'economia americana. Come s'è visto, c'è chi sostiene che in sintonia con la produzione e la vendita di prodotti di qualità sia più il postfordismo che non il fordismo. Ciò va contro uno dei dogmi principali della mcDonaldizzazione: l'esaltazione della quantità e la corrispondente carenza di interesse per la qualità. Se ciò vale in linea generale, è proprio impossibile la mcDonaldizzazione dei prodotti di qualità? In certi casi sì (per esempio l'alta cucina o la preparazione di dolci raffinati ad opera di pasticceri professionali), ma in altri qualità e mcDonaldizzazione non sono incompatibili.
Si prenda il boom dei negozi di caffè Starbucks (11), che vendono, a prezzi alti, caffè di ottima qualità. Impresa di rilevanza locale a Seattle nel 1987, sul finire del 1994 la Starbucks è arrivata a possedere 470 negozi (nessuna concessionaria) con un fatturato di 285 miliardi di dollari a fronte dei 176 miliardi del precedente anno fiscale. Per la fine del secolo la compagnia prevede l'apertura di 1500 punti di vendita negli Stati Uniti, con espansioni nel frattempo sui mercati internazionali. La Starbucks è stata capace di mcDonaldizzare il mercato del caffè senza sacrificare la qualità. Ritengo che il segreto stia nella semplicità del prodotto (caffè) su cui ci son da fare ben poche operazioni, quando è semplicemente da vendere in sacchi di chicchi interi. Prodotti e processi di livello elementare possono venir mcDonaldizzati senza comprometterne la qualità, ma ciò non è possibile con prodotti e procedure più complessi. Persino hamburger e patatine, per non dire dei Big Mac, sono assai più complicati del caffè. Per quanto riguarda il servizio, che presenta problemi analoghi per McDonald's come per Starbucks, quest'ultima azienda ha cercato consapevolmente di far fronte ai problemi individuati nei sistemi mcDonaldizzati, come dichiara il fondatore della ditta di caffè: "Il servizio in America è un'arte caduta in oblio. Penso che la gente abbia voglia di lavorare bene, ma se vengono trattati male perdono di interesse. ... In America non è considerato un lavoro professionale stare dietro un bancone. Noi non ci crediamo. Vogliamo che ai nostri dipendenti non manchino dignità e stima di sé, e ciò non si può farlo ostentando una cortesia solo formale. Così offriamo loro dei benefici tangibili: il tasso di stress nei fast food è calcolato tra il 200 e il 400% all'anno. Da Starbucks è del 60%" (12). Poiché il servizio è una faccenda più complicata della confezione del caffè resta da vedere se Starbucks riuscirà a dare servizi di alto livello anche su larga scala e nel tempo.

Postmodernismo: siamo alla deriva nell'iperspazio?

V'è infine il più generale orientamento noto come «postmodernismo» (13). Per quanto ne esistano diverse versioni (13), la più radicale è quella secondo cui saremmo entrati in una società postmoderna che rappresenta uno stacco o una rottura con quella moderna, cui subentra. Tra le tante altre differenze, il modernismo è in genere presentato come altamente razionale e rigido, e il postmodernismo come maggiormente incline all'irrazionalità e più flessibile. Vari critici, in particolare Jean-François Lyotard, hanno esplicitamente etichettato McDonald's di postmodernismo. Arthur Kroker, Marilouise Kroker e David Cook, discutendo di McDonald's, hanno utilizzato l'etichetta di «hamburger postmoderni» (15). In un saggio dal titolo "Writing McDonald's, Eating the Past: McDonald's as a Postmodern Space", Allen Shelton ha analizzato in maniera esaustiva la relazione tra i due fenomeni, concludendo così: «Ho presentato McDonald's come un emblema del postmodernismo, un simbolo morale che vale come segno dei tempi» (16). Nella misura in cui il postmodernismo è visto come un successore della modernità, esso si pone in opposizione alla tesi della mcDonaldizzazione: l'idea che c'è un aumento di irrazionalità è in contrasto con la concezione secondo cui vi sarebbe un incremento della razionalità. Alla luce della versione radicale della concezione postmodernista, McDonald's non può essere il simbolo dell'uno e dell'altro orientamento. Tuttavia certi punti di vista meno radicali ci consentono di vedere in fenomeni come McDonald's caratteristiche di tutt'e due i tipi (17).
Così, per quanto Shelton associ McDonald's al postmodernismo, non manca di metterlo in rapporto anche con diversi aspetti che, a parer mio, vanno attribuiti al modernismo. Per esempio, Shelton osserva giustamente che uno dei successi di McDonald's è stato l'esser riusciti ad automatizzare il cliente, il quale, quando fa il suo ingresso in un ristorante fast food, si incanala verso lo sportello di un "drive-through", entra in un sistema automatizzato nel quale viene di fatto spinto, per poi esserne espulso non appena «fatto il pieno». In quest'ottica, McDonald's è una fabbrica più che un luogo di ristorazione: e tuttavia più «un'azienda ad alta tecnologia, per i clienti, che un posto dove si viene spremuti» (18). A mio giudizio, da questa prospettiva postmodernista, McDonald's è un fenomeno ascrivibile tanto alla modernità quanto alla postmodernità. Anche David Harvey presenta una concezione attenuata del postmodernismo. Nel mentre segnala grandi cambiamenti, che sarebbero alla base del pensiero post modernistico, sostiene anche che esisterebbero molte continuità tra una fase e l'altra. Per concludere sostanzialmente che mentre «c'è stata senza dubbio una svolta radicale alla superficie del capitalismo a partire dal 1973 ... la logica sottostante dell'accumulazione capitalistica e le sue crisi ricorrenti restano immutate» (19).
Centrale, nella teoria di Harvey, è la nozione della compressione spazio-tempo. E' convinto che il modernismo sia servito a comprimere sia lo spazio sia il tempo e che questo processo abbia subìto un'accelerazione in età postmoderna portando a «una fase intensa di compressione spazio-temporale che produce disorientamento e ha un impatto distruttivo». Ma non mi pare che ciò sia sostanzialmente diverso rispetto ad altre fasi della civiltà capitalistica: «In breve, assistiamo a un'altra puntata di quel processo di annientamento dello spazio attraverso il tempo che è sempre stato un elemento focale della dinamica del capitalismo» (20).
Ecco un esempio di compressione dello spazio fornito dalla mcDonaldizzazione: certi piatti, una volta caratteristici di determinati paesi o metropoli, oggi sono reperibili quasi ovunque grazie all'ubiquità delle catene di fast food che sfornano piatti tipici di vari paesi e di varie regioni in qualsiasi angolo del mondo. Allo stesso modo - ecco un esempio di compressione del tempo - certi piatti che una volta richiedevano ore di preparazione oggi si possono portare in tavola in pochi secondi con un forno a microonde o essere ritirati in pochi minuti in un fast food. Oppure, per fare un esempio del tutto diverso, durante la guerra con l'Iraq del 1991 la televisione, in particolare la C.N.N., ci ha trasportati in un istante da un posto all'altro, dai raid aerei su Bagdad agli attacchi degli Scud su Tel Aviv alle conferenze stampa di Riyadh.
Gli spettatori riuscivano ad essere informati di molte evoluzioni della situazione militare in tempo reale, allo stesso modo dei generali o del presidente degli Stati Uniti. Sicché, per Harvey, il postmodernismo non rappresenta una rottura rispetto al modernismo; entrambi sarebbero manifestazioni di una stessa dinamica sottostante.
La tesi più nota della mancanza di frattura tra modernismo e postmodernismo è quella sostenuta da Fredric Jameson nel saggio (poi diventato volume) "Postmodernism, or the Cultural Logic of the Late Capitalism". Un titolo («Postmodernismo, o la logica culturale del tardo capitalismo») rivelatore dell'orientamento marxista dell'autore secondo cui il capitalismo (indubbiamente un fenomeno «moderno»), adesso nella sua fase «tarda», continua a dominare il mondo contemporaneo. E ha generato una nuova logica culturale, il postmodernismo. In altre parole, per quanto la logica culturale possa esser mutata, la struttura economica che sta dietro ha un rapporto di continuità con forme precedenti di capitalismo, vale a dire: è ancora «moderna». Il capitalismo non fa che ricorrere al solito vecchio trucco di mettere in piedi un sistema culturale per contribuire alla propria conservazione. La fase tarda del capitalismo comporta «un'espansione prodigiosa del capitale in aree sinora non sfruttate» (21).
Jameson considera quest'espansione non solo in accordo con la teoria marxista, ma addirittura generatrice di una forma ancor più pura di capitalismo. Per lo studioso, l'aspetto decisivo del capitalismo moderno è il suo carattere plurinazionale, e il fatto che le multinazionali hanno incrementato in grande misura il ventaglio dei prodotti mercificati. Persino elementi estetici, solitamente associati alla cultura, sono stati trasformati in merci da comprare e vendere sul mercato del capitalismo. La conseguenza è che vi sono elementi estremamente diversificati che contribuiscono a comporre la nuova cultura postmoderna. Jameson fornisce una rappresentazione chiara della società postmoderna in cinque elementi di base. Li propongo qui di seguito, ponendoli in rapporto con la mcDonaldizzazione della società.
Primo, come s'è visto, Jameson associa il postmodernismo al tardo capitalismo. Che la mcDonaldizzazione si possa mettere in rapporto con forme più antiche di capitalismo è indubbio. Essa, per fare un esempio, è motivata da interessi materiali, strettamente legati all'economia capitalistica. Ma la mcDonaldizzazione è anche un esempio delle caratteristiche multinazionali del tardo capitalismo: molte imprese mcDonaldizzate sono internazionali, e la crescita fondamentale oggi si registra sul mercato mondiale.
Secondo, la società postmoderna è caratterizzata dalla superficialità. I suoi prodotti culturali non si curano di approfondire più di tanto nella ricerca del senso. Un buon esempio è il famoso dipinto di Andy Warhol dei barattoli della Campbell, che non sembra andare molto al di là della riproduzione di quegli oggetti. Ricorrendo a un termine chiave associato alla teoria postmoderna, quel dipinto è un simulacro in cui non si riesce a distinguere tra l'originale e la copia. Un simulacro è anche una copia di una copia: a quanto si sa Warhol non aveva dipinto i barattoli ispirandosi a degli originali, ma guardando una fotografia.
Jameson descrive un simulacro come «la copia identica per cui non c'è mai stato un originale» (22). Un simulacro è, per definizione, superficiale. Un mondo mcDonaldizzato è indubbiamente segnato dà questo tipo di superficialità. La gente passa attraverso i sistemi mcDonaldizzati senza esserne toccata; i clienti dei fast food McDonald's, per esempio, hanno col personale, coi prodotti, con l'azienda contatti fugaci e superficiali. Gli stessi prodotti forniscono straordinari esempi di simulacri. Ciascun bocconcino di pollo McNugget è la copia di una copia: non c'è mai stato un pollo McNugget originale; quello vero, il pollo, nel formato bocconcini è impossibile riconoscerlo.
Terzo, Jameson attribuisce al postmodernismo un declino delle emozioni e della carica affettiva. Mette a confronto un'altra delle opere di Warhol, una rappresentazione pressoché fotografica di Marilyn Monroe, con un classico pezzo modernista, "L'urlo" di Edvard Munch. Quest'opera surreale rappresenta un individuo in un momento di profonda disperazione o, per dirla in termini sociologici, di anomia o alienazione. Il dipinto di Warhol non esprime nessuna autentica emozione, il che riflette l'assunto postmodernista secondo cui sarebbe stato il mondo moderno la causa dell'alienazione rappresentata da Munch. Nel mondo postmoderno, invece, all'alienazione si è sostituita la frammentazione; e poiché questa ha interessato tanto la realtà quanto le persone che la abitano, l'affetto rimasto è di carattere «fluttuante e impersonale» (23).
C'è anche, associata a questi sentimenti postmoderni, un particolare tipo di euforia, quel che Jameson preferisce chiamare «fervori». Per fare un esempio, presenta un'icastica immagine di un ambiente urbano «dove persino gli incidenti automobilistici rilucono di un nuovo, allucinatorio splendore» (24). L'euforia a partire da disastri automobilistici nel mezzo dello squallore urbano è, effettivamente, un tipo di emozione particolare (25). Indubbiamente il mondo mcDonaldizzato è una realtà in cui la sincera espressione di emozioni e affetti è stata quasi del tutto eliminata. Da McDonald's, tra clienti, impiegati, dirigenti e proprietà è scarso o nullo il tipo di legame affettivo che può svilupparsi. La compagnia fa di tutto per eliminare ogni genuina emozione, affinché le cose possano procedere per quanto possibile lisce e razionali. Un mondo mcDonaldizzato risulta anche frammentato nel momento in cui le persone vanno oggi da McDonald's, domani da Denny's e da Pizza Hut il successivo. Per quanto nella realtà mcDonaldizzata l'alienazione, soprattutto tra gli impiegati, sia un riflesso del mondo moderno, in quella stessa realtà è dato trovare anche quell'affetto fluttuante descritto da Jameson. Può accadere che si crei del risentimento, della rabbia persino nei confronti del mondo mcDonaldizzato, ma si tratta di un sentimento che assumerà una forma fluttuante dal momento che è difficile sapere dove dirigerlo; dopo tutto, sono tante e diverse le cose che sembrano subire la mcDonaldizzazione. A dispetto della carenza di affettività della società mcDonaldizzata, le persone sentono spesso un fervore, un'euforia nel momento in cui entrano in uno dei suoi territori. Le luci intense, i colori, le insegne sgargianti, i campi da gioco per bambini e così via, tutto comunica ai clienti l'impressione di essere entrati in un luna park e di stare per divertirsi da matti.
Quarto, Jameson fa riferimento alla perdita del senso della storia nel mondo postmoderno. L'incapacità di fare i conti col passato ha portato alla «cannibalizzazione cieca di tutti gli stili del passato» e alla creazione di ciò che in ambito postmoderno viene definito "pastiche". Vale a dire, poiché gli storici non riescono a raggiungere la verità sul passato, devono accontentarsi di creare "pastiches" o zibaldoni di idee, a volte contraddittorie e confuse. Inoltre, manca ogni senso chiaro dell'evoluzione storica, del passare del tempo: passato e presente risultano quasi inestricabilmente intrecciati.
Per esempio un romanzo come "Ragtime" di Doctorow presenta il «dileguarsi del referente storico. Questo romanzo storico non può più sostenere di rappresentare il passato storico; può rappresentare soltanto le nostre idee e i nostri stereotipi a proposito del passato» (26). Un altro esempio è costituito dal film "Body Heat" che, pur riferendosi chiaramente al presente, crea un'atmosfera che rimanda agli anni trenta. Per far ciò, "la realtà oggettuale del presente (manufatti e accessori, persino le automobili, il cui design dovrebbe servire a datarne l'immagine) viene accuratamente espunta. Tutto nel film, pertanto, cospira a far velo alla sua contemporaneità ufficiale e a consentirvi di accogliere la storia come se collocata in una sorta di eterni anni trenta, al di là del tempo storico"(27).
Un film o un romanzo di questo genere sono un «sintomo dell'affievolirsi del nostro senso della storia» (28). Quest'incapacità di distinguere tra passato, presente e fu turo mette a nudo, a livello individuale, una sorta di schizofrenia. Per l'individuo postmoderno tutti gli eventi sono frammentari e discontinui.
I sistemi mcDonaldizzati difettano in genere del senso della storia. Ci si ritrova in ambienti che o si sottraggono a qualsiasi tentativo di precisa collocazione storica o presentano un "pastiche" di varie epoche diverse. Di quest'ultimo tipo l'esempio migliore è il Disney World, col suo miscuglio di passato, presente e futuro. In più, chi si reca in ambienti mcDonaldizzati ha in genere uno scarso senso del trascorrere del tempo. In molti casi e proprio questo l'intendimento di chi li ha progettati. L'esempio più rilevante è costituito dai centri commerciali e dai casinò di Las Vegas, luoghi in cui orologi bene in vista non ce ne sono. Ad ogni modo, non tutti gli aspetti del mondo mcDonaldizzato creano questo senso di atemporalità, a manifestazione della loro continuità con la modernità. Per chi ha scelto di pranzare in un fast food il tempo è stato messo in rilievo (per esempio da cartelli che segnalano il limite dei venti minuti di uso dei tavolini) per impedire ai clienti di attardarsi. D'altro lato, lo sportello "drive-through" sembra far parte di una qualche rete atemporale visto che la gente lo attraversa come un anello di una catena infinita di destinazioni.
Quinto, Jameson sostiene che alla società postmoderna è legata una nuova tecnologia. Invece di tecnologie legate alla produzione tipo la catena di montaggio delle automobili esiste una predominanza di tecnologie riproduttive, in particolare i media elettronici tipo la televisione e il computer. A differenza della tecnologia «eccitante» dell'epoca della rivoluzione industriale queste nuove appiattiscono tutte le immagini e rendono difficile distinguerle l'una dall'altra. Queste tecnologie «implosive» dell'era postmoderna generano prodotti culturali assai diversi rispetto alle tecnologie esplosive dell'epoca precedente.
I sistemi mcDonaldizzati fanno sì uso di alcune tecnologie produttive fuori moda (tipo la catena di montaggio), ma quelle dominanti sono di tipo riproduttivo: vale a dire che riproducono in continuazione quanto è già stato prodotto in precedenza. Nel secondo capitolo abbiamo visto come i ristoranti fast food non abbiano fatto altro che riprodurre prodotti, servizi e tecnologie già da lungo tempo esistenti. Ciò che ne viene fuori sono prodotti (gli hamburger McDonald's) e servizi (l'interazione preparata con i clienti) piatti, scialbi. In sostanza Jameson presenta un'immagine del postmoderno in cui le persone appaiono alla deriva e incapaci di comprendere il sistema capitalistico multinazionale o la cultura e il mercato in esplosiva espansione in cui vivono. Come esempio paradigmatico di questa realtà, e del posto che ciascuna persona ha al suo interno, Jameson presenta l'esempio dell'Hotel Bonaventure di Los Angeles, progettato da un famoso architetto postmoderno, John Portman. I clienti non sono in grado di portare i loro bagagli nella hall dell'albergo, un esempio di ciò che Jameson definisce "iperspazio", un'area dove le concezioni moderne dello spazio non sono di nessun aiuto per orientarsi. La hall è circondata da quattro torri perfettamente simmetriche in cui si trovano le camere. L'albergo ha poi dovuto aggiungere codici colorati e segnali direzionali visto che la gente aveva tante difficoltà a portare i bagagli dove era stato originariamente previsto.
Il caso della hall di quest'albergo serve come metafora dell'incapacità attuale delle persone di orientarsi nell'economia internazionale e nell'esplosione culturale del tardo capitalismo. Ciò che serve sono nuovi tipi di mappe, e quest'esigenza riflette la concezione jamesoniana secondo cui ci si sarebbe spostati da un mondo a definizione temporale in uno a definizione spaziale. In effetti il concetto di iperspazio, e l'esempio sopra citato, confermano questa predominanza dello spazio nella realtà postmoderna. Per Jameson, quindi, il problema fondamentale del nostro tempo è che si è smarrita la capacità di darsi una collocazione all'interno dello spazio postmoderno e di tracciare le coordinate di quello spazio.
Un mondo mcDonaldizzato presenta analoghe difficoltà di orientamento: per esempio, si può essere nel centro di Pechino e ritrovarsi a mangiare sempre da McDonald's e da Kentucky Fried Chicken. Siccome mutamenti impressionanti stanno avvenendo nello spazio e negli oggetti legati a determinati luoghi la gente non si rende più conto di dove si trova, e ha bisogno di guide aggiornate. Come esempi eccellenti di iperspazio segnaliamo il centro commerciale, gli enormi casinò di Las Vegas e Disney World.
Insomma, la mcDonaldizzazione ben corrisponde alle cinque caratteristiche di Jameson, ma ciò forse soltanto perché egli non vede nel postmodernismo se non una fase tarda della modernità. E' per via di questa incapacità di tracciare una linea netta, accanto ad altri fattori, che qualcuno rifiuta il concetto di una nuova società postmoderna. Dice uno di questi studiosi: «Non sono d'accordo. Non credo che si viva in una Nuova Epoca, in un''età postindustriale e postmoderna' sostanzialmente diversa dalla forma capitalistica di produzione universalmente dominante per gli ultimi due secoli» (29). E' evidente che, pur nella netta differenza di certe caratteristiche di quest'età rispetto alla «moderna» che l'ha preceduta, non manca comunque una grande continuità.
La mcDonaldizzazione non dà alcun segnale di voler scomparire per farsi sostituire da nuove forme postmoderne: essa è un fenomeno moderno fortemente razionale che dà origine, tra l'altro, a strutture estremamente rigide. Rappresenta pertanto una negazione della tesi secondo cui ci ritroveremmo spostati in una società postmoderna dove fenomeni moderni di questo tipo sarebbero in rapida scomparsa. I sistemi mcDonaldizzati, oltre tutto, accanto a questi elementi ne presentano molti di carattere postmoderno: in altre parole, il mondo in via di mcDonaldizzazione mette in mostra sia modernità che postmoderno.

Conclusione.

Nessuna istituzione sociale è eterna, e McDonald's non può sfuggire a questa legge. Se la mcDonaldizzazione continua a essere una forza dominante della nostra epoca, verrà il tempo anche per essa di uscire di scena. I sistemi mcDonaldizzati si manterranno potenti finché la natura della società sarà cambiata così profondamente che non riusciranno più ad adattarvisi. Ma anche dopo la sua scomparsa, McDonald's continuerà ad essere ricordato per l'influsso impressionante, positivo e negativo, esercitato sulla società americana e sul resto del mondo. Nel primo capitolo si è parlato, tra l'altro, di burocrazia, organizzazione scientifica del lavoro e catena di montaggio in quanto predecessori della mcDonaldizzazione. Quando anche McDonald's, al pari di quanto l'ha preceduto, avrà esaurito la sua influenza o sarà del tutto scomparso, sarà a sua volta ricordato come un precursore di un mondo ancor più razionale.

NOTE AL CAPITOLO SETTIMO.
N. 1. E. Reiter, "Making Fast Food", Montreal-Kingston, McGill-Queen's University Press, 1991, p. 165 .
N. 2. M. O'Neill, "The Lure and Addiction of Life on Line", sul «New York Times» dell'8 marzo 1995 .
N. 3. Ad ogni modo la tecnologia ci dà il potere di ignorarlo o di cancellarlo all'istante .
N. 4. D. Bell, "The Coming of Post-Industrial Society: A Venture in Social Forecasting", New York, Basic Books, 1973; trad. it. "La società postindustriale", Milano, Edizioni di Comunità, s.d. 
N. 5. J. Hage e Ch. Powers, "Post-Industrial Lives: Roles and Relationships in the 21st Century", Newbury Park, Calif., Sage, 1992 .
N. 6. Ibidem, p. 10 .
N. 7. Confer S.L. Goldman, R.N. Nagel e K. Preiss, "Why Seiko Has 3,000 Watch Styles", sul «New York Times» del 9 ottobre 1994, p. 9; "Agile Competitors and Virtual Organizations: Strategies for Enriching the Customer", New York, Van Nostrand Reinhold, 1995 .
N. 8. Hage e Powers, "Post-Industrial Lives", cit., p. 50 .
N. 9. S. Clarke, "The Crisis of Fordism or the Crisis of Social Democracy?", in «Telos», 83, 1990, p.p. 71-98 .
N. 10. P. Bourdieu, "La distinction", Paris, Les éditions de Minuit, 1979; trad. it. "La distinzione", Bologna, Il Mulino, 1997(2) .
N. 11. A. Witchel, "By Way of Canarsie, One Large Hot Cup of Business Strategy", sul «New York Times» del 14 dicembre 1994 .
N. 12. Ibidem .
N. 13. Per saperne di più si veda J. Baudrillard, "L'échange symbolique et la mort", Paris, Gallimard, 1976; trad. it. "Lo scambio simbolico e la morte", Milano, Feltrinelli, 1979; F. Jameson, "Postmodernism, or the Cultural Logic of the Late Capitalism", in «New Left Review» 146, 1984, p.p. 53-92; Id., "Postmodernism, or the Cultural Logic of the Late Capitalism", Durham, Duke University Press, 1991; J.-F. Lyotard, "La Condition post-moderne: rapport sur le savoir", Paris, Les éditions de minuit, 1979; trad. it. "La condizione postmoderna. Rapporto sul sapere", Milano, Feltrinelli, 1990(5). Per un buon profilo generale si veda S. Best e D. Kellner, "Postmodern Theory: Critical Interrogations", New York, Guilford Press, 1991 .
N. 14. Si veda il quattordicesimo capitolo di G. Ritzer, "Modern Sociological Theory", New York, McGraw-Hill, 1996(4). Per una discussione più generale, si veda dello stesso autore "Postmodern Social Theory", New York, McGraw-Hill, in corso di stampa.
N. 15. A. Kroker, M. Kroker e D. Cook, "Panic Encyclopedia: The Definitive Guide to the Postmodern Scene", New York, St. Martin Press, 1989, p. 119 .
N. 16. A. Shelton, "Writing McDonald's, Eating the Past: McDonald's as a Postmodern Space", di prossima pubblicazione.
N. 17. Barry Smart sostiene che invece di vedere modernismo e postmodernismo come epoche li si potrebbe concepire coinvolti in una serie continua e prolungata di rapporti, con il postmodernismo a segnalare costantemente i limiti dell'altro orientamento. Confer B. Smart, "Postmodernity", London, Routledge, 1993.
N. 18. Ibidem .
N. 19. D. Harvey, "The Condition of Postmodernity: An Enquiry into the Origins of Cultural Change", Oxford, Basil Blackwell, 1989, p. 189.
N. 20. Ibidem, p.p. 284 e 293. Anche Shelton dà grande rilievo alla compressione spazio-tempo, ma associandola al postmodernismo.
N. 21. Jameson, "Postmodernism, or the Cultural Logic of the Late Capitalism", cit., p. 66 .
N. 22. Ibidem, p. 66 .
N. 23. Ibidem, p. 64 .
N. 24. Ibidem, p. 76 .
N. 25. Un fervore postmoderno si verifica anche quando «il corpo è in diretto contatto con i nuovi media elettronici». Si veda M. Donough, "Postmodern Jameson", in D. Kellner (a cura di), "Postmodernism, Jameson, Critique", Washington, D.C., Maisonneuve Press, 1989, p. 85
N. 26. Jameson, "Postmodernism, or the Cultural Logic of the Late Capitalism", cit., p.p. 65-6 e 71 .
N. 27. Ibidem, p. 68 .
N. 28. Ibidem .
N. 29. A. Callinicos, "Against Postmodernism: A Marxist Critique", New York, St. Martin's Press, 1990, p. 4.



Scritto per George Ritzer (titolo originale: 'The McDonaldization of Society'-An Investigation into the Changing Character of Contemporary Social Life).Traduttore Nicola Rainò come 'Il Mondo alla McDonald's'. Il Mulino, Bologna, 1997, capitolo settimo p.208-232. Modificati e adattati per essere postato per Leopoldo Costa.



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