ERMETE TRISMEGISTO - "TRE VOLTE GRANDISSIMO"

IL GRANDE MEDIATORE

Da due millenni, con i suoi scritti, Ermete Trismegisto condiziona la Storia. Ma chi si cela dietro a questo personaggio semileggendario?

"Ne è valsa la pena", pensò tra sé Cosimo de Medici osservando la sua Firenze invasa da tutti quei turisti orientali, in abiti bizzarri e coloratissimi. Era il 1439 e l'ambizioso banchiere fiorentino era riuscito a convincere (sborsando un bel po' di fiorini) papa Eugenio IV a spostare da Ferrara a Firenze il concilio in cui si sarebbe dovuta discutere l'unione della Chiesa latina con quella bizantina. Cosicché sulle sponde dell'Arno era giunto per la prima volta, insieme al papa, l'imperatore Giovanni VIlI Paleologo con la sua pittoresca corte.

Mentre si intratteneva con tutti quegli esponenti del glorioso Impero Romano d'Oriente, il primo signore di Firenze cercava di assimilare tutto il possibile. Ma fu soprattutto un nome, che ricorreva nei loro discorsi, a colpirlo: quello di un antico profeta, contemporaneo di Mosè, che per quegli eruditi bizantini era il più grande di tutti, "colui che ha visto tutto, sa tutto, e ha messo in forma scritta la rivelazione ricevuta". Lo sconosciuto depositario della dottrina filosofica più antica e completa della Storia si chiamava Ermete Trismegisto.

ETÀ DELL'ORO

Quel nome continuava a frullargli nella testa. Nel corso del concilio Cosimo si era convinto che per fare di Firenze una nuova Roma (missione in cui lui si sentiva sempre più determinato) bisognava riscoprire i valori politici e spirituali della mitica "età dell'oro ". Inizialmente pensava soprattutto alla Grecia classica, epoca che immaginava (sbagliandosi) di pace e fratellanza. Per questo aveva fondato l'Accademia platonica fiorentina, affidandola al coltissimo Marsilio Ficino, fi glio del suo medico di fiducia.

Qualcosa però gli diceva che il tassello mancante fossero proprio gli scritti di quell'antico profeta. Per cui Cosimo prese una decisione: sciolse di nuovo i cordoni della borsa per spedire in Oriente il suo scrittore di corte, Leonardo da Pistoia, nella speranza di recuperarli. Qualche anno dopo Leonardo tornò: in Macedonia gli era riuscito il colpaccio.

Era una mattina del 1463 quando Cosimo andò da Marsilio con il prezioso malloppo. "Platone può aspettare" gli intimò. "Prima mi devi tradurre questi". Alla vista di quei 14 tomi scritti in greco, Marsilio si illuminò. In quegli antichi testi, ne era ceno, risiedeva la chiave per portare a termine il piano, in cui entrambisi erano impegnati, di riportare in vita l'età dell'oro, partendo da Firenze.

A CACCIA DI FANTASMI.

Ma chi era quel profeta "tre volte grandissimo" (questo il significato di Trismegisto)? Quello che Cosimo e Marsilio non potevano sapere è che Ermete in realtà non è mai esistito. O meglio: non fu un uomo in carne e ossa, ma una figura mitica. E soprattutto ibrida: derivò infatti dall'identificazione di una divinità egizia con una divinità greca e poi dalla loro fusione, da cui quello strano nome.

Quella greca era Ermes (Ermete), il messaggero degli dèi, il figlio di Zeus spesso rappresentato con i calzari e il copricapo alati e con un caratteristico bastone (il caduceo) e che i Romani chiamavano Mercurio. Quella egizia era Thot (nei geroglifici spesso accompagnato dall'epiteto "grande grande grande"), il dio con la testa di ibis, patrono degli scribi.

A prima vista non sembra, ma tante sono le analogie tra i due: entrambi erano associati all'invenzione della scrittura, alla medicina e alla magia; entrambi erano al servizio di un dio superiore (rispettivamente Zeus e Osiride}; entrambi accompagnavano i morti nell'oltretomba; entrambi, soprattutto, agivano da mediatori tra gli uomini e gli dei. Ma perché gli antichi si inventarono questo personaggio? Per la stessa ragione per cui idearono personaggi fittizi come Omero e Orfeo: la loro "firma" conferirva automaticamente autorevolezza agli scritti a loro attribuiti.

MULTIETNICO

Non è un caso che il fantasmatico Trismegisto abbia cominciato ad aggirarsi nei palazzi del potere ad Alessandria d'Egitto, in epoca tolemaica (IV-I secolo a.C). Solo lì avrebbe potuto ce lebrarsi il matrimonio "atipico" fra Ermes e Thot. «L'ermetismo è figlio della grave crisi d'identità che attraversò il mondo antico dopo la comparsa di Alessandro Magno sulla scena del Mediterraneo», spiega Paolo Scarpi, docente di Storia delle Religioni all'Università di Padova. «Nasce cioè nel grande crogiolo del mondo ellenistico dove intellettuali inquieti cercavano di trovare un senso a un mondo che stava profondamente cambiando. Un mondo in cui la molteplicità rappresentata dalle "poleis", le città-Stato greche, e dal politeismo dell'Olimpo lasciava il posto al principio del potere assoluto, concentrato in un unico sovrano, Alessandro Magno. E presto sarebbero arriva ti gli imperatori di Roma che venivano divinizzati».

IN SALSA MEDITERRANEA

l testi che componevano il "Corpus Henneticum" e che Cosimo aveva fatto riportare in Occidente, videro la luce tra il I e IIl secolo d.C., ma il loro contenuto apparteneva sicuramente a una tradizione molto più antica. Era infatti una sorta di "minestrone culturale" che mirava a riassumere lo scibile umano dopo la "globalizzazione" ellenistica. E se il principale retroterra era la spiritualità egizia, su cui si innestava la pragmaticità greca dei traduttori (imbevuti di Platone, di Aristotele e degli stoici), non mancavano contaminazioni di altra provenienza: dalle tradizioni giudaiche e persiane all'astrologia semitica, fino alle credenze gnostiche.

Nelle sale della Biblioteca di Alessandria, dove si raccoglieva il meglio degli scritti del tempo, non era strano leggere testi "meticci" come quelli. Ma la dottrina di Ermete andava molto più in là, e incrociò da subito la strada della politica.

L'ermetismo aveva infatti due scopi assai concreti: conciliare mondi lontani e giustificare il cambiamento politico in atto. l mondi in questione erano soprattutto quello magico orientale e quello razionale occidentale, che proprio ad AJessandria si erano incontrati. Basti pensare a una figura come la regina Cleopatra: di stirpe e cultura greca, ma imbevuta di magia egizia.

Il cambiamento politico era invece legato a un altro grande nome dell'antichità: Alessandro il Grande. Mentre il Macedone diventava l'uomo più potente del mondo, praticamente un dio in terra, la distanza tra gli uomini e gli dèi andò progressivamente aumentando. E se Alessandro era un dio in Terra, in cielo chi c'era? Un "intelletto supremo", in greco "nous". Sarà questa sorta di monoteismo a permettere allo spettro di Trismegisto di accreditarsi presso un nuovo potere nascente, quello del cristianesimo.

MONOTEtSMO RELATIVO.

«Tuttavia il dio "unico" ermetico era accompagnato da altri dèi, da lu i creati e a lui subordinati, che corrispondevano ai pianeti e alle stelle», avverte Scarpi. «Si trattava insomma di un monoteismo relativo». L'altro aspetto impanante della dottrina ermetica era la posizione di rilevo dell'uomo: composto della stessa sostanza di dio, era l'unico essere vivente dotato di intelletto e di ragione. Suo compito era perseguire la conoscenza che gli avrebbe permesso "di scoprire che l'uomo è dio, e quindi di diventare dio". Ma chi poteva aspirare a questa rivelazione? Pochi eletti, dotati di un'anima pura e dunque ammessi tra i seguaci. Solo loro potevano ambire alla "palingenesia", cioè alla "rinascita". Per farlo avevano a disposizione strumenti come l'alchimia (la trasmutazione dei metalli} e la teurgia (un'antica tecnica egizia per animare le statue}.

Proprio sulla teurgia si concentrarono le critiche di sant'Agostino (354-430), che nella "Città di Dio" definì questa pratica "espressione diabolica". Ma è evidente che, accanto a qualche dissonanza, l'ermetismo aveva molte analogie con il cristianesimo. Così, il fantasma di Ermete, come in un romanzo di Dan Brown, rispuntò tra le carte dell'erudito Lattanzio, il "Cicerone cristiano" che fu consigliere dell'imperatore Costantino I. E quella dottrina esoterica (cioè "riservata a pochi") ritornò al centro della scena. Con conseguenze, questa volta, ancora più grandi. Fu infatti con la vittoria di un'idea ermetica (la convivenza di umano e divino) e con la conseguente scomunica della dottrina del teologo Ario (secondo la quale Gesù era, semplificando, più umano che divino), che si concluse l'animatissimo Concilio di Nicea, nel 325, il primo del mondo cristiano.

«Sembra che sia stato l'imperatore Costantino a insistere per rendere dogma il concetto di 'consustanzialità', che ancora oggi è un punto centrale della dottrina cristiana», spiega Scarpi. «Il dogma cioè secondo cui il Figlio è della medesima sostanza del Padre». In altre parole, Ermete fornì a Costantino gli argomenti per sconfiggere Ario in una disputa decisiva per la Storia, non solo di quella delle idee. Il "grande mediatore" Trismegisto aveva dunque colpito ancora, spianando la strada a quella che sarebbe diventata la principale fede del mondo occidentale.

IN INCOGNITO

Tuttavia, dopo quell'exploit, per centinaia di anni a partire dal crollo dell'Impero d'Occidente, il fantasma del tre volte grande si eclissò. Ma non del tutto, come nel suo stile. Un esempio: Alfonso X di Castiglia, detto il Saggio, nel '200 fece tradurre dall'arabo il "Picatrix", un testo ermetico fitto di rituali magici. Rituali che il sovrano riteneva indispensabili per esercitare il potere. Ma fino a che non ricomparve alla corte fiorentina dei Medici, quello di Ermete Trismegisto restò solo un nome bisbigliato nel segreto di circoli ristretti.

LA RINASCITA DELL'UOMO

Marsilio Ficino si era invece messo all'opera nella traduzione del "Corpus Hermeticum" proprio con l'obiettivo di diffonderlo. D'altra parte i contenuti di quei testi andavano a nozze con gli obiettivi del movimento umanistico, di cui Marsilio era un esponente: porre fine all'oscurantismo medioevale e ridare valore all'uomo. Certo, gli servirono ingegnosi espedienti e qualche traduzione forzata per evitare di passare per eretico. Ma il suo scopo, tanto nobile quanto audace, era quello di conciliare le dottrine filosofiche dell'antichità con il pensiero cristiano. In questo aveva validi alleati: per esempio Pico della Mirandola, che grazie alla sua proverbiale memoria aveva imparato l'arabo, l'ebraico e l'antica lingua degli astrologi caldei, oltre al greco e al latino. Pico mirava soprattutto a riavvicinare Chiesa cattolica, religione ebraica e islamica, sottolineandone le matrici comuni.

Firenze era cioè diventata una nuova Alessandria di Egitto. «Come nel periodo alessandrino, gli intellettuali del Quattrocento avevano trovato in Ermete Trismegisto l'autorità che avrebbe permesso loro di conciliare le religioni, dando vita a una pace e a una concordia universali, all'unione armonica tra l'uomo e l'uni verso», nota Scarpi. Se il cristianesimo rendeva l'uomo totalmente sottomesso al volere di Dio, i testi ermetici lo riportavano invece al centro del mondo, invitandolo ad accedere alla conoscenza e a "rinascere". E non è certo un caso che l'epoca di rinnovamento culturale che si stava aprendo allora in Italia sia passata alla storia con il nome di Rinascimento.

SCIENZE REGINE

All'ermetismo si interessarono infatti tanti geni rinascimental i, accomunati dall 'eclettismo, un'altra caratteristica "ermetica" (un esempio per tutti: Leonardo da Vinci). In questo periodo arte e scienza, medicina e magia, scienze naturali e alchimia, astronomia e astrologia operavano in simbiosi. Quest'ultima era particolarmente in auge: era in fatti considerata uno strumento indispensabile alla medicina, poiché metteva in relazione malattie e parti del corpo con gli astri del cielo. Si pensava cioè che l'uomo fosse come un piccolo universo, e che ci fosse una perfetta analogia fra l'ordinamento celeste e l'organismo umano. Ma per la "regina delle scienze" stavano per arrivare tempi duri. Nel '500 Copernico, Galileo e Keplero, facendo della Terra un satellite del Sole, ne vanificarono di fatto le basi teoriche. E più avanti Cartesio, equiparando astrologia e alchimia a un'accozzaglia di superstizioni, ufficializzò ulteriormente la presa di distanza della scienza da tutto quanto era connesso con l'ermetismo.

AL ROGO!

L'illusione di pace e di concordia durò poco anche in campo religioso. La Chiesa, infatti, non tollerò a lungo la dottrina di Ermete. La sua vittima più illustre fu Giordano Bruno, il frate domenicano che aspirava a una "riforma ermetica" del cristianesimo. Giudicato eretico per le sue affermazioni (''Mi cangio in dio da cosa inferiore"), fu condannato a morte dalla Santa Inquisizione. Il rogo in Campo dei Fiori a Roma, il 17 febbraio 1600, segna la fine, oltre che di Giordano Bruno, anche dell'ambiguo rapporto tra la Chiesa cristiana ed Ermete Trismegisto.

Del resto, all'alba del xvn secolo i rapporti tra la scienza e la Chiesa stavano attraversando un momento delicato, come dimostrò il processo a Galileo del 1633. Era insomma diventato chiaro che l'unico modo per sopravvivere entrambe era "spatirsi il potere": la Chiesa si sarebbe occupata del mondo spirituale, la scienza di quello materiale. Cosicché i due nemici storici, come in un "governo delle larghe intese" di altri tempi, si accordarono per eliminare un personaggio inviso a tutte e due: quell'Ermete Trismegisto che per secoli, e con grandi sforzi, aveva tentato di metterle d'accordo. Fu così che il "Corpus Hermeticum" fu nuovamente allontanato dal sapere ufficiale.

IMMORTALE

Il fantasma di Ermete, però, ancora una volta non scomparve. Dopo aver legittimato Alessandro Magno, spianato la strada al cristianesimo e acceso la miccia del Rinascimento italiano andò a costituire l'ossatura ideologica di società segrete come i Rosacroce e la massoneria, continuando a condizionare la Storia. Non male, per un personaggio che non è mai esistito.

Di Marta Erba, estratti "Focus Storia", n. 90, aprile 2014, Milano.  Compilati, digitati e adattati per essere postato per Leopoldo Costa.

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