PETRÓPOLIS - VERSAILLES CARIOCA



Da paradiso tropicale a meta ambita dal jet set: la storia di Petrópolis, la residenza imperiale nata dal nulla per volere di due sovrani del Brasile.

Il paesaggio era lussureggiante. I primi raggi di sole illuminavano una valle completamente ricoperta dalla foresta tropicale, circondata da alte vette e attraversata da ruscelli di acqua cristallina. Il clima mite, rinfrescato dalla brezza mattutina, ricordava quello delle primavere europee: un piccolo paradiso. E un luogo molto diverso da Rio de Janeiro, la torrida e cao tica capitale dell’Impero del Brasile nato proprio in quell’anno, il 1822, dopo la secessione dal Portogallo.

L’imperatore del Brasile, Pietro I, ammirava quello spettacolo dalla veranda della fazenda di padre Corrêa, un religioso che aveva offerto la sua dimora al sovrano per passare la notte. La comitiva imperiale era arrivata lì quasi per caso. Stava rientrando a Rio da un viaggio nell’interno del Brasile, quando venne sorpresa dalle tenebre sulle montagne della Serra dos Órgãos. Incantato da quel panorama, Pietro decise di trattenersi qualche giorno, per esplorare meglio la zona. E da quel  momento, per circa un decennio, divenne un visitatore assiduo della fazenda di Corrêa, cercando ristoro dalla calura e “aria buona” per la figlia, Paula Mariana, perennemente malata. Lì sarebbe sorta, qualche anno dopo, la Versailles brasiliana.

Corte in trasferta. 

L’imperatore, quando visitava la fazenda, non era mai da solo: con lui c’erano i dragoni imperiali (la guardia personale), ministri e aiutanti di campo. Ai quali ben presto si aggregò buona parte della corte. La carovana partiva da Rio ma veniva anticipata da battaglioni di camerieri, cuochi, governanti
e stallieri. C’era bisogno dunque di case dove ospitare tutta quella gente.

Fu a quel punto che l’imperatrice Amélia suggerì al marito di acquistare la proprietà e costruirvi un palazzo dove poter alloggiare cortigiani e servitù. Il marito, obbediente (Amélia era una donna volitiva), non soltanto comprò la fazenda ma anche tutti i terreni della zona. E fece costruire il Palazzo imperiale della Concordia. Nacque così, dal nulla, la “città ideale” di Petrópolis.

Il cantiere, però, fu interrotto. Nel 1831, travolto dalla crisi dinastica in corso in Portogallo, Pietro I abdicò e abbandonò il Brasile, lasciando il trono al figlio, Pietro II, di appena 5 anni. I due non si rividero mai più. Ma, vuoi per onorare il ricordo del padre, vuoi soltanto perché anche a lui piaceva quel posto, nel 1843 Pietro II decise di riprendere in mano il progetto paterno. Aggiunse però una cattedrale, dedicata ovviamente a san Pietro, e una fazenda imperiale, oltre a diversi palazzi pubblici. L’obiettivo era imitare la reggia costruita dal Luigi XIV a Versailles, modello per tutti i regnanti con manie di grandezza. A differenza della cittadina francese, progettata per tenere in una gabbia dorata i cortigiani e controllarli meglio, Petrópolis nasceva con l’obiettivo opposto: permettere a Pietro II di fuggire dagli intrighi e dalle angherie dei nobili di Rio de Janeiro.

La città di Pietro. 

Petrópolis deve il suo nome al maggiordomo imperiale, Paulo Barbosa. Fu lui a suggerire di ispirarsi a San Pietroburgo, la capitale costruita da zero, nel 1703, dallo zar Pietro il Grande. Pietro II del Brasile, che era un uomo alla mano per i tempi e per il suo rango, prese in considerazione il suggerimento. Preferì però il suffisso greco -pólis a quello teutonico -burg.

Come la capitale zarista, costruita tenendo conto delle conquiste dell’ingegneria e rendendola il più possibile europea, anche Petrópolis doveva essere pianificata secondo i criteri più avanzati dell’urbanistica. Serviva un architetto esperto. E nell’Ottocento i grandi progettisti lavoravano per gli eserciti. Così, la scelta cadde sull’ingegnere militare Julius Friedrich Koeler, un tedesco (erano i migliori sulla piazza).

Koeler aveva carta bianca. Come prima cosa buttò nel cestino tutta l’eredità coloniale della fazenda; poi usò l’occhio razionale del soldato europeo. Il progetto prevedeva un nucleo urbano, attorno al palazzo imperiale, alla cattedrale e ad altri edifici pubblici; da lì partivano le vie che portavano ai quartieri residenziali, alle zone commerciali e alle aree destinate ai servizi. Petrópolis venne concepita come lo specchio del potere brasiliano: l’imperatore al centro, tutto il resto intorno.

Città “green”

La suddivisione dei lotti, la distanza fra le case, la larghezza delle strade, il numero e la posizione dei giardini delimitati da steccati o ringhiere di ferro battuto: tutto fu calcolato al centimetro. E poi viali alberati, marciapiedi in muratura, un sistema di approvvigionamento idrico e fognario che limitava gli scarichi nelle acque del fiume, di cui vennero rinforzati gli argini. Tra i record di Petrópolis c’era anche questo: fu una delle prime capitali progettata con grande attenzione all’ambiente naturale circostante.

Pietro II, durante i suoi 49 anni di regno, si recò a Petrópolis oltre 40 volte, trattenendosi in città anche per cinque mesi di fila. A Petrópolis era “soltanto” Pietro de Alcántara, un intellettuale raffinato e di ampie vedute: era l’unico luogo in cui l’imperatore poteva “essere un po’ più se stesso”, come diceva.

L’Europa ai tropici.

Grazie alla presenza della corte, in città spuntarono teatri, alberghi di lusso e sale da ballo. E in quella capitale c’era anche un po’ di Italia. Il Palazzo imperiale, in stile neoclassico circondato da giardini tropicali, era stato progettato da Cristoforo Bonini e Niccolò Facchinetti. Gli italiani non erano gli unici stranieri a corte. Per realizzare quest’imponente opera, infatti, venne importata manodopera da tutta Europa, soprattutto dalla Germania.

La città si popolò di tedeschi e Petrópolis iniziò a sembrare un angolo di Germania ai tropici. Il che però, nel corso del Novecento, divenne anche un problema politico. Negli Anni ’30 e ’40 il numero di simpatizzanti nazisti qui continuò a crescere. Dopo l’entrata del Brasile nella Seconda guerra mondiale (agosto 1942), al fianco degli Alleati, il governo di Getúlio Vargas iniziò una sistematica repressione. I nomi delle strade e dei quartieri furono modificati e l’intera comunità tedesca subì molte rappresaglie.

Capitale del “bel mondo”.

Ancora oggi le eleganti strade di Petrópolis, abbellite da statue e obelischi, sono visitate da turisti di tutto il mondo. Negli anni a Petrópolis si continuò a costruire e la città si trasformò in una meta ambita dal “bel mondo”. Nel 1884 venne realizzato il Palazzo di Cristallo, ispirato al Crystal Palace di Londra e importato pezzo per pezzo dall’Europa, un regalo alla città da parte del nobile francese Gaston d’Orléans. Nel 1944 venne eretto in stile “rococò hollywoodiano” il Palazzo Quitandinha, il più grande hotel-casinò di tutto il Sud America. Dalle sue sale passarono molte stelle del cinema, americane e non. Oltre che “capitale della bella vita”, Petrópolis rimase uno dei luogo preferiti da ambasciatori, politici e uomini d’affari, che qui decidevano le sorti del continente sudamericano.

Poi, nel 1960, sorse Brasilia, la “capitale nel deserto” e la città di Pietro fu declassata a semplice località di villeggiatura. Forse, però, non è un caso se l’indice di sviluppo umano (quello che misura il grado di istruzione e di qualità della vita della popolazione) a Petrópolis ancora oggi è tra i più alti del Brasile.

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BRASILIA, L’AVANGUARDIA NEL DESERTO

Sembrava un progetto impossibile: una città pianificata per “civilizzare” l’interno del Brasile. Dal 1960 un gioiello architettonico, ancora in espansione.

Petrópolis ispirò altre “città nuove”, come la capitale dello Stato di Minas Gerais, Belo Horizonte. E come Brasilia, costruita per sostituire Rio de Janeiro quale capitale del Paese. L’idea di spostare la capitale da Rio all’interno del Brasile nacque nel 1889 con la proclamazione della repubblica.

L’obiettivo era “civilizzare” l’interno brasiliano, spopolato rispetto alla costa, oltre che rendere la capitale federale più difendibile da attacchi esterni. Tuttavia, il progetto richiedeva investimenti e capacità tecniche talmente elevati che venne rinviato fino agli Anni ’50 del Novecento. Il presidente Juscelino Kubitschek venne eletto con la promessa che avrebbe costruito la nuova città entro la fine del suo mandato.

Utopia. 

Sembrava un’impresa impossibile, viste le distanze dai centri industriali, le difficoltà logistiche e l’assenza di strade asfaltate. Ma Kubitschek, che era stato governatore proprio del Minas Gerais, diede l’incarico a due geniali architetti con cui aveva già collaborato a Belo Horizonte, Lúcio Costa e Oscar Niemeyer. I due progettarono una città modernista, di asfalto e cemento armato, basata su un “Plano Piloto”.

Brasilia venne inaugurata il 21 aprile 1960. Il giorno prescelto non era casuale: era lo stesso della fondazione di Roma, secondo la tradizione. Ancora oggi qui si trovano i palazzi del potere brasiliano, in uno scenario monumentale così unico da essere tutelato dall’Unesco.


Di Carlo Cauti, estratti "Focus Storia", ottobre 2016, n. 120 Mondatori, Milano, pp.14-19.  Compilati e adattati per essere postato per Leopoldo Costa.

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