UNA VILLA SPECIALE: LA DOMUS AUREA DI NERONE
Un caso tutto particolare fu quello della Domus Aurea di Nerone: vera e propria villa urbana, piantata nel cuore stesso della città, al punto che, durante la sua realizzazione, una “pasquinata” poteva affermare che l’intera Roma si sarebbe “trasformata in un’unica grande domus”. Essa s’estendeva per 80/100 ettari dal Palatino al Celio, dalla Velia all’Esquilino, avendo al centro (nella valle dove poi sorse il Colosseo) un grande lago “che sembrava un mare” – come scrive Svetonio – “circondato da portici e da edifici come se si trattasse d’una città”. Il lago raccoglieva acque di diversa provenienza, ma doveva, soprattutto, giovarsi dell’apporto che gli veniva dall’Acquedotto Celimontano che sulle pendici del Celio alimentava la monumentale fontana in cui, con una serie di grandi nicchie e un prospetto colonnato, era stato trasformato il muraglione perimetrale del lato orientale del Tempio di Claudio (lungo l’odierna via Claudia). Tutt’intorno al lago, come continua Svetonio, “v’erano campi coltivati, vigneti, pascoli e boschi e una moltitudine d’ogni genere di animali, domestici e selvatici”.
Quanto agli edifici, si trattava di nuclei diversi tra loro collegati. Sull’altura della Velia si trovava l’ampio vestibolo porticato, al centro del quale s’ergeva la statua colossale, in bronzo, del Sole con le fattezze dell’imperatore, alta 35 metri. Sul Palatino c’era il settore che Nerone aveva fatto sistemare prima dell’incendio del 64 (che gli avrebbe poi dato modo di realizzare tutto il resto) per collegare le proprietà imperiali del Palatino stesso a quelle dell’Esquilino (cioè alla villa che era stata di Mecenate): di qui il nome dato al complesso di Domus transitoria, cioè “di passaggio”. Ricostruito dopo le distruzioni provocate dall’incendio, di questo settore oggi si conservano, al di sotto delle posteriori fabbriche perti imperiali del Palatino stesso a quelle dell’Esquilino (cioè alla villa che era stata di Mecenate): di qui il nome dato al complesso di Domus transitoria, cioè “di passaggio”.
Ricostruito dopo le distruzioni provocate dall’incendio, di questo settore oggi si conservano, al di sotto delle posteriori fabbriche pertinenti al palazzo di Domiziano, pochi resti tra i quali quelli di una grande sala rotonda, originariamente coperta a cupola e inclusa entro un bacino rettangolare, nella quale si potrebbe riconoscere una delle cenationes, o sale per banchetti, citate da Svetonio. Sull’altura del Colle Oppio, infine, opportunamente sbancata e terrazzata, gli architetti Severo e Celere avevano innalzato l’edificio principale, esteso, in direzione est-ovest, per una lunghezza di quasi 300 metri e una profondità massima di circa 60. Elevato su almeno due piani e dotato di un prospetto porticato aperto (lungo il lato meridionale) verso la valle del lago, esso era formato da tre nuclei distinti, disposti tra due grandi peristili, rettangolari, e ai lati di due grandi corti gemelle, pentagonali. I diversi nuclei erano tra loro raccordati, oltre che dal portico di facciata, da lunghi criptoportici che per tutto il lato a monte, settentrionale, servivano anche da “intercapedine” verso il taglio del colle. In ognuno dei tre si disponevano con grande regolarità numerosi ambienti di varia planimetria e di diversa destinazione.
In posizione centrale rispetto all’intero complesso e circondata da una corona di altri ambienti, s’apriva (ed è ancora perfettamente conservata) una grande sala a pianta ottagonale, coperta da una cupola direttamente impostata sull’ottagono, senza uso di “pennacchi”, comunemente identificata con la cenatio rotunda che, sempre secondo Svetonio (e presumibilmente grazie a un meccanismo idraulico oppure ad un congegno basato su cuscinetti a sfera), era capace di ruotare “attorno a se stessa giorno e notte, come il mondo”. “Nel resto della costruzione – aggiunge il biografo – ogni cosa era rivestita d’oro e abbellita con gemme e madreperle; le sale per banchetti avevano soffitti con pannelli d’avorio mobili e forati in modo da poter spargere dall’alto fiori e profumi ... nelle sale da bagno scorreva acqua di mare o solfurea”.
Alla luce di queste informazioni, si può capire come Nerone, inaugurando la sua nuova dimora, peraltro largamente incompleta, abbia esclamato: “Finalmente, comincerò ad abitare come un uomo!”. Tanta magnificenza ebbe però vita breve. Di lì a qualche anno, dopo la morte dell’imperatore, nel giugno del 68, e i travagliati mesi di guerra civile che seguirono, Vespasiano decise di ridimensionare il gigantesco complesso dividendolo e in parte smantellandolo, “per restituire alla città quello che le era stato sottratto”. Fu perciò che, al posto del lago, venne costruito il Colosseo, mentre l’edificio del Colle Oppio, forse solo temporaneamente abitato da Tito prima di succedere al padre, veniva abbandonato. Qualche tempo dopo, gravemente danneggiato da un incendio, fu addirittura interrato e utilizzato come “sostruzione” per le fabbriche delle grandi terme che sullo stesso Colle Oppio fece costruire Traiano.
Di Romolo Augusto Staccioli, estratti "Ville di Roma Antica", Azienda di Promozione Turistica di Roma,pp.17-18. Compilati e adattati per essere postato per Leopoldo Costa.
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